A trent’anni da L’armata delle tenebre, giusto dieci dal requel di Fede Álvarez e appena a cinque anni di distanza dalla serie Ash vs Evil Dead, eccoci qua con Evil Dead Rise. Per noi, La casa – Il risveglio del male (2023). Bello, sì. Suggestivo, anche. Soprattutto, sentivamo il bisogno di un… ma aspe’: che cos’è di preciso questo Evil Dead Rise? Tra Evil Dead Rise e il film originale ci sono quaranta e qualcosa anni di distanza. In mezzo ci passano i fumetti pubblicati a nastro da Dark Horse a partire dal 1992, tutta una serie di videogames (tra cui il primo, The Evil Dead, uscito nel 1984 addirittura per Commodore 64). Poi abbiamo avuto un requel e fatto in tempo a vedere pure una serie tv. Quindi la storia dovrebbe essere familiare ai più. Un gruppetto di amici decide di fare il weekend in un’incantevole baita spersa su un pizzo di montagna in mezzo al niente, vicino a non lo so, in provincia di vattelapesca. Tipico scenario da grigliata di Pasquetta, solo un pizzichino meno avventuroso. Tutto perfetto se non fosse per quell’unico, piccolo problema: l’ex proprietario della baita. A un certo punto, viene fuori che la baita era di un certo Raymond Knowby. Archeologo e professore universitario, Knowby è il tizio che ha portato alla luce il Naturom Demonto, o Necronomicon Ex-Mortis, scavando tra le rovine di un castello a Kandar. Tornato negli Stati Uniti, il professor Knowby si ritira insieme alla moglie nel suo piccolo chalet di montagna in modo da tradurre il libro in pace. Bene. I ragazzi trovano il registratore, mandano a tutto volume il nastro con Knowby che recita le formule e il male si risveglia di nuovo. Tutti vengono posseduti trasformandosi in Deadites e parte il massacro. Benissimo. L’unico a sopravvivere, diventando suo malgrado un improbabilissimo eroe (che addirittura si troverà a viaggiare indietro nel tempo per salvare il mondo dalle forze del male) è Ashley Joanna “Ash” Williams. È un commesso del reparto ferramenta nella catena di supermercati S-Mart, i migliori d’America. Alé. La storia di Evil Dead Rise parte dalla rocker e tecnico del suono Beth (Lily Sullivan) che in tour, con vattelapesca quale band, si scopre magicamente incinta. Confusa e sostanzialmente disorientata sul da farsi, Beth decide di andare a trovare sua sorella Ellie (Alyssa Sutherland) già madre non di uno, non di due, ma di ben tre figli. Tra l’altro, Ellie e i ragazzi, Danny (Morgan Davies) Bridget (Gabrielle Echols) e Kassie (Nell Fisher) vivono in uno squallido palazzone nella periferia degradata di Los Angeles che una volta è stato una banca. Perfetto, sì. Ma sono quarant’anni che Ash cerca di mettere pezze a destra e sinistra ai disastri causati dal Necronomicon, i Deadites e alle mostruosità in genere che vengono fuori di tanto in tanto (anche per colpa sua). Quindi, cosa c’entra questo con Evil Dead Saga? Ellie manda i figli a comprare le pizze, ok? Più tardi, mentre i ragazzi stanno rientrando, si verifica una scossa di terremoto talmente forte da far crollare un’intera parte del pavimento del garage dello stabile. Andando a guardare, i ragazzi si accorgono che la voragine si apre direttamente sul vecchio caveau della banca. Quindi, giustamente, Danny si cala giù e invece di prendere qualcosa che abbia un probabile valore monetario, viene su con un libro e tre vinili. Indovina? Esatto: quello è proprio il Necronomicon. I tre vinili, invece, risalenti più o meno agli anni venti, sono le registrazioni di un prete che cerca di spiegare alla comunità ecclesiastica come lo studio del Necronomicon possa essere utile per svariati motivi. Poi, siccome lo prendono a sputi, pernacchie e fischi, traduce ad alta voce la formula in grado di evocare il male. Ora, cosa c’entra la storia di una madre (abbandonata dal marito e pure a rischio sfratto) e sua sorella rimasta incinta di uno sconosciuto, con Evil Dead in generale? Soprattutto, secondo Sam Raimi, Bruce Campbell e Lee Cronin, regista e sceneggiatore del film, Evil Dead Rise è un sequel. Non solo dei precedenti film, ma che non ignora e anzi accorpa in sé pure i fatti di Evil Dead 2013. Per farla breve senza incartarci, i fatti del film di Fede Alvarez non sono alternativi alla storia di Ash, ma si svolgono, cronologicamente, dopo L’armata delle tenebre. Anche aver introdotto un nuovo eroe (Mia, interpretata da Jane Levy e fondamentalmente una giustapposizione di Ash solo più seria) i collegamenti espliciti con i film originali tengono il film, relativamente, in continuity. Il problema sta nel fatto che la serie Ash vs. Evil Dead, seguito canonico de L’armata delle tenebre, non prende in considerazione questi eventi. Anzi. A un certo punto di Ash vs. Evil Dead, Ash è costretto a tornare alla baita nel bosco per recuperare il Necronomicon, che in effetti, a quel punto, dovrebbe essere in possesso di Mia. Perciò, com’è che Evil Dead Rise si ricollega a tutto il resto? Semplice: grazie allo strepitoso potere della paraculata estrema. Il fatto è che, dopo il primo Evil Dead, Sam Raimi si è trovato a un bivio tra successo e fallimento. L’unica opzione rimastagli in quel momento era tornare a mettere mano al titolo che lo aveva portato alla ribalta. Vero è che Evil Dead 2 aveva un budget oltre dieci volte superiore a quello del primo film, tuttavia, in pieno stile patto col diavolo, a Raimi è stato “chiesto” di mantenere la storia praticamente identica a quella dell’originale Evil Dead. Capito qual è il punto? Tecnicamente, Evil Dead 2 è un requel tanto quanto Evil Dead 2013. Tra l’altro, mettici pure che nel corso degli anni Evil Dead e L’armata delle tenebre si sono sviluppati quasi come fossero due franchise diversi, anziché uno seguito degli altri. Questo è successo perché i diritti dei film erano sparsi tra produttori diversi. Renaissance Pictures, New Line Cinema, Dino De Laurentiis Communications, TriStar Pictures e compagnia cantante. Con questa cagnara, chiaro che la coerenza narrativa non sia mai stata il punto di forza di Evil Dead, no? Adesso il discorso è essenzialmente quello di Spider-Man: No Way Home: con una sola, semplice mossa Raimi e Campbell hanno messo in continuity ogni fatto e risolto ogni incoerenza nel franchise di Evil Dead. Come? Grazie a una scena specifica de L’armata delle tenebre. Quando Ash, nel passato, viene inviato a recuperare il Necronomicon, una volta all’altare nel cimitero si trova davanti non uno, bensì tre libri e deve capire quale sia quello vero. Che gli altri due libri messi lì fossero semplici esche, era da trent’anni un fatto certo per chiunque. Invece, in Evil Dead Rise, uno dei dischi del prete è una specie di memorandum in cui parla dei suoi sforzi per cercare di recuperare uno dei tre volumi del Naturom Demonto. Uno dei tre. Dettaglio che potrebbe passare inosservato e buttato lì fondamentalmente alla cazzomannaggia, certo. Tuttavia, prima Campbell, in un’intervista per Collider, poi Sam Raimi, hanno confermato che la storia dei tre libri è canonica. In un certo qual modo, dunque, sapendo adesso che la storia di Ash è collegata a uno dei libri, Mia ha il secondo e ‘sta sciroccata di Beth s’è trovata ad avere a che fare con il terzo: Evil Dead Rise è sia una storia indipendente ambientata nell’universo di Evil Dead, sia uno spin-off che si svolge parallelamente alle storie di Mia e Ash e sia una sorta di reboot. Un riavvio che potrebbe, molto probabilmente visti gli incassi, portare allo sviluppo di sequel diretti nel prossimo futuro. Uno scenario interessante, senza dubbio. Tanto quanto il cambio di formula. Sai com’è, dopo quarant’anni di catapecchie nel bosco, cominciava a farsi sentire il bisogno di cambiare un po’ le cose. Il rovescio della medaglia è che deviando dalla formula classica e optando per uno scenario urbano si finisce per andare incontro a diversi problemi. Gravi, se non venissero gestiti come si deve. Non che i film di Raimi e Alvarez fossero chissà quali esempi di profondità. Però il loro punto di forza stava proprio in quella semplicità essenziale che nel corso degli anni è diventato un tratto distintivo. Del resto, ‘sta cosa di Babe va in città era stata già affrontata in Ash vs Evil Dead con risultati piuttosto buoni. Intanto, quella era una serie e quindi, con a disposizione un minutaggio maggiore per affrontare determinati risvolti. Qui, in Evil Dead Rise, dove tutto è più in piccolo, con l’azione che si sposta nella grande città sono necessari più tempo e più esposizione per impostare tutte le deviazioni che prende il film. In questo senso, la sceneggiatura di Cronin è buona e regge bene per la maggior parte del tempo. Contando che il film va tutto su scala ridotta, alcune forzature (in sostanza, sono quattro cristiani e un mostro chiusi in un appartamento e in qualche modo il film deve andare avanti) si sentono forse più pesanti di quanto in realtà non sembrerebbe. Pure la sua regia non è per niente male. Anzi. Usa uno stile molto dinamico, e tenendo la camera sempre in movimento riesce a evitare quel brutto effetto gabbia che sarebbe venuto sicuramente a crearsi con una storia che si svolge per intero in uno spazio così piccolo. Si dribbla in scioltezza parecchi cliché e fa pure un uso interessante del primo piano che mescola, quasi sempre, allo sfondo. No, il problema di Evil Dead Rise non è questo. Semmai, quello che risulta un tantinello difficile da capire è il perché Cronin si sia poggiato sul lavoro di Alvarez, anziché su quello di Raimi. Il core di Evil Dead, il suo nucleo, non è mai stata la sostanza ma la forma. Evil Dead Rise non è certo un “horror di spessore”. Esattamente come non lo è mai stato nessuno dei film precedenti. Tutto è riducile all’estetizzazione, estrema, matta e disperatissima della violenza. Tuttavia, se nel film di Alvarez l’intuizione di dare un minimo di retroscena ai personaggi era buona, a conti fatti la storia della tossicodipendenza di Mia risultava pretestuosa. Parecchio pretestuosa. Qui è ancora peggio: tutta la questione della gravidanza di Beth, Ellie madre single e tutto il resto appresso, sono cose che nascono e muoiono lì senza andare da nessuna parte. In altre parole, tutta una roba completamente inutile nell’economia della situazione. Questo, tra l’altro, rende ancor più complicato capire certe scelte. Con Evil Dead, Raimi non ha solo reso bello lo splatter, lo ha reso divertente. Cronin, invece, ha sicuramente messo in mezzo un paio di trovate brillanti, ma si allontana ancor di più di Alavarez dalla verve comico-grottesca che distingueva i film originali da qualsiasi cosa venuta prima e dopo. Evil Dead 2013 ed Evil Dead Rise sono due film uno più cupo dell’altro e in questo caso, il tentativo di mettere in mezzo drammi familiari e temi come la maternità li rendono ancor più impersonali. Generici. Prendendo spunto dal requel di Fede Álvarez e poggiandosi troppo a convenienza sulla mitologia di Evil Dead, il film in sé, da solo, fa veramente molto poco. In altre parole, Evil Dead Rise è come la cover di una canzone famosissima fatta bene da una tribute band che se la cava abbastanza. Lì per lì è pure piacevole, ma poi? Cosa ti resta? La speranza sta nel fatto che adesso le basi ci sono per costruire qualcosa con, almeno, un minimo di carattere. Altrimenti Evil Dead Rise è l’ennesima voce sul registro dei film da una botta e via. Carino, sì. Piacevole, anche. Ma una volta finito è bello che dimenticato. Ebbene, detto questo credo sia tutto. Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro. (Da Il sotterraneo del Retronauta). Navigazione articoli LA MAMMA DI MAX, IL FIGLIO DI PIPPO THE BLUES BROTHERS IN UNA CHICAGO DEMENZIALE
A parte la forma in cui è scritto questo articolo, troppo colloquiale e confusionario, credo che chi scrive il film (o i film addirittura) non lo abbia visto, perché ci sono delle inesattezze di base che non esisterebbero dopo la visione della suddetta pellicola. Io consiglio di (ri)vedere il film prima di scrivere una recensione fatta con i piedi come questa. Rispondi