(Esperimento: questo articolo è stato scritto con l’Intelligenza artificiale…). L’evoluzione della figura femminile nei fumetti Marvel è una narrazione parallela a quella dei cambiamenti culturali e sociali del mondo reale. Dai ruoli marginali e stereotipati degli anni ’60 alla centralità delle protagoniste attuali, il percorso è stato lungo, contraddittorio e affascinante. Negli anni ‘60 le donne sono perlopiù fidanzate, segretarie, damigelle in pericolo. Erano caratterizzate da una forte dipendenza emotiva e dall’assenza di potere decisionale. Negli anni ‘70 le donne iniziano a lottare, e a diventare protagoniste. C’è una crescita di consapevolezza identitaria, ma ancora filtrata da sguardi maschili. Negli anni ‘80 cresce la profondità psicologica: le donne non sono solo forti, ma tragiche, vulnerabili, autodistruttive. Gli autori attraverso di loro esplorano temi oscuri: identità frammentata, manipolazione, morte e rinascita. Negli anni ‘90 si ha un’esplosione di eroine forti, ma sessualmente ipermarcate. Costumi succinti, pose sensuali, identità ambigue. Oggi le donne sono protagoniste assolute, non più “versioni femminili” di uomini, ma personaggi autonomi con visioni proprie. Cresce sempre di più la loro complessità. Ricordiamo le principali protagoniste di questo percorso. Sue Storm La figura di Sue Storm, più nota come Invisible Girl e poi Invisible Woman, è un perfetto archetipo della donna nei fumetti Marvel degli anni ’60: bella, dolce, emotiva, legata all’uomo protagonista e spesso relegata al ruolo di spettatrice o di “fardello emotivo”. Nel contesto del primo supergruppo Marvel, Sue è l’unica donna e ha inizialmente un ruolo marginale, sia nei combattimenti che nella storia. È prima fidanzata poi moglie di Reed Richards (Mr. Fantastic), e funge da polo emotivo del gruppo. Il suo potere dell’invisibilità è una involontaria metafora del suo ruolo… rappresenta la donna che si adatta, si cancella e sparisce per non disturbare l’uomo o il gruppo. Solo più avanti svilupperà la capacità di creare campi di forza, metafora di assertività e capacità di difesa attiva. Spesso Sue viene rapita, ferita o presa in ostaggio, ricalcando tutti i classici stereotipi della “damigella in pericolo”. Jean Grey La figura di Jean Grey nei fumetti Marvel degli anni ’60 rappresenta in modo esemplare l’archetipo della donna come interesse amoroso e figura vulnerabile, in linea con i canoni culturali e narrativi del tempo. Sebbene dotata di poteri significativi, Jean rimane inizialmente sottosviluppata, definita soprattutto dallo sguardo maschile e dalle dinamiche romantiche del gruppo. Jean Grey è l’unica donna nel gruppo originale degli X-Men. Il suo nome in codice iniziale è Marvel Girl, un nome davvero poco personale, che riflette già una posizione di secondo piano rispetto ai suoi colleghi maschi dotati di nomi assai fantasiosi (Cyclops, Beast, Angel, Iceman, Professor X). La sua presenza serve più a bilanciare il cast che a guidare l’azione. È spesso il centro di tensioni romantiche tra i membri maschili, in particolare Scott Summers e Warren Worthington III. Persino Charles Xavier, in un passaggio rimosso nelle ristampe, ammette un’attrazione per lei, sottolineando quanto il personaggio sia oggetto più che soggetto. Wasp Janet Van Dyne, alias The Wasp, è una figura più interessante delle due precedenti perché, pur rimanendo ancorata ad alcuni stereotipi, rappresenta la prima eroina Marvel con una personalità autonoma, ironica e fuori dagli schemi del tempo. È una pioniera, spesso sottovalutata, ma con elementi di modernità sorprendenti per i primi anni sessanta. Janet Van Dyne diventa The Wasp per vendicare il padre ucciso. Entra in squadra con Ant-Man e poi è membro fondatore degli Avengers nel 1963, prima e unica donna del team originale. Janet non è timida né remissiva. Ha spirito, ironia, autostima. Si diverte a provocare i colleghi maschi, a flirtare, e a giocare con la sua femminilità in modo attivo e consapevole. Non è definita solo dal rapporto con Hank Pym: anche se ne è innamorata, ha opinioni, gusti e leadership propri. The Wasp è la prima eroina Marvel degli anni ’60 a esprimere una vera autonomia di pensiero e comportamento. Carol Danvers / MsMarvel Carol Danvers, oggi nota come Captain Marvel, è una delle figure più significative nella storia Marvel per l’introduzione e l’evoluzione delle tematiche femministe all’interno dei fumetti mainstream. A partire dagli anni ’70, Carol incarna le tensioni e le sfide del femminismo, portando nel fumetto domande cruciali su identità, autonomia, potere e ruolo della donna nella società e nei media. Quando Carol diventa Ms. Marvel, siamo nel pieno del movimento femminista statunitense. Il nome “Ms.”, cioè né “signora” né “signorina”, per l’epoca segnala l’indipendenza dal matrimonio, uno dei punti chiave del femminismo dell’epoca. Carol è una donna in carriera, ex pilota, giornalista e donna forte non subordinata a un uomo. Per un periodo Carol non è consapevole della sua identità di Ms. Marvel, un’allegoria della scissione tra l’identità pubblica e quella privata, un tema caro al femminismo. La sua serie affronta temi come sessismo sul posto di lavoro, parità salariale, rappresentanza femminile e sessualizzazione delle eroine. Storm Ororo Munroe, alias Storm, è una figura rivoluzionaria nella storia del fumetto Usa. Quando entra negli X-Men nel 1975, diventa la prima donna nera a ricoprire un ruolo da protagonista in un fumetto mainstream americano, e il suo percorso riflette l’apice delle tematiche femministe e antirazziste che iniziano a emergere con maggiore consapevolezza nella Marvel degli anni ’70. Storm è introdotta come membro della nuova formazione multietnica degli X-Men, voluta per rinnovare la testata e rappresentare il mondo reale: è africana, potente, autorevole, e donna, un trittico rarissimo nei fumetti americano di allora. Nel suo periodo “punk” (primi anni ‘80), Storm rifiuta il suo aspetto angelico e adotta un look più aggressivo. È una presa di posizione forte: una donna nera che rifiuta lo sguardo maschile e bianco, e si reinventa da sola. Il suo percorso riflette le istanze del femminismo “intersezionale”: non solo donne, ma donne nere, leader, non sessualizzate, al centro della narrazione. Spider-Woman Spider-Woman, introdotta dalla Marvel Comics nel 1977 con il nome di Jessica Drew, può essere vista come un simbolo, seppur complesso e non esente da contraddizioni, del femminismo degli anni ’70. In quel decennio, segnato dalla seconda ondata femminista, il mondo dei fumetti ha iniziato lentamente ad affrontare la rappresentazione delle donne con maggiore attenzione, pur rimanendo in gran parte ancorato a stereotipi e logiche commerciali. Jessica Drew non è semplicemente la “versione femminile” di Spider-Man… … ha un’origine distinta, poteri diversi, un carattere più introverso e tormentato. Affronta temi di identità, alienazione e ricerca di sé, tutti centrali anche nel discorso femminista dell’epoca. Il costume aderente e il disegno iper-sessualizzato rientrano ancora nelle logiche maschiliste dei comics, dove le eroine sono spesso pensate per lo sguardo maschile. Spider-Woman può essere letta come parte di un fenomeno più ampio: l’assorbimento delle istanze femministe nella cultura pop, spesso in forma ambigua. Dark Phoenix L’arco narrativo della Fenice Nera (Dark Phoenix) nei fumetti degli X-Men, e in particolare il personaggio di Jean Grey, rappresenta in modo emblematico la figura della donna negli anni ’80: potente, fragile, e potenzialmente distruttiva. Il personaggio incarna le paure, le tensioni e le contraddizioni culturali rispetto all’identità femminile in un’epoca in cui i progressi del femminismo si scontravano con nuove ansie sociali. Negli anni ’70-’80, per merito della penna di Chris Claremont e del tratto di John Byrne, Jean attraversa una trasformazione radicale: da “ragazza X” a divinità cosmica (la Fenice), fino alla caduta nella follia come Fenice Nera. Claremont ha scritto Jean con grande profondità, offrendo anche una critica alla paura del potere femminile. Tuttavia, il finale (la sua morte per “salvare l’universo da sé stessa”) rientra in una lunga tradizione di “donne potentissime ma tragiche”. Il suo sacrificio finale sancisce un ritorno all’ordine, ma lascia anche aperta la domanda: una donna può essere davvero potente senza dover pagare un prezzo altissimo? Rogue Rogue è uno dei personaggi più potenti e simbolicamente ricchi del panorama Marvel, soprattutto nel contesto degli X-Men. Il suo potere incontrollabile, il suo corpo inaccessibile, e la sua condizione di emarginata la rendono una metafora dell’alienazione femminile (e adolescenziale) tra gli anni ’80 e ’90. Rogue incarna un’idea potente: il corpo come pericolo, sia per sé che per gli altri. Non può toccare nessuno. Ogni contatto implica dolore, perdita di identità per l’altro, e senso di colpa per lei. Il suo corpo, dunque, è inviolabile, protetto da guanti, giacche, barriere. Rogue è una metafora dell’alienazione femminile e adolescenziale. Con il suo corpo che fa male, il suo potere che isola, e la sua identità invasa, incarna la condizione di chi si sente diverso, incontrollabile, e non amabile. Nel mondo Marvel, dove i mutanti sono allegorie della diversità, Rogue è forse la più intimamente umana: una donna che vuole amare, essere toccata, e appartenere… ma che è costretta a vivere dietro una barriera invisibile. Elektra Elektra, creata da Frank Miller nel 1981 durante il suo ciclo su Daredevil, è una delle rappresentazioni più emblematiche della donna degli anni ’80 nei fumetti: tragica, sensuale, letale, e profondamente ambigua. Incarnazione di un erotismo pericoloso, Elektra riflette le paure e le fantasie maschili dell’epoca, ma anche una crescente consapevolezza narrativa della complessità psicologica femminile. Elektra è sensuale, ma non passiva: usa il corpo come un arma, ma non si lascia mai ridurre a oggetto. È il simbolo della sessualità come potere, ma anche della sessualità come condanna. Il legame con Matt è carico di tensione: desiderio, amore, violenza. Elektra ama, ma è incapace di vivere una relazione affettiva normale. Nel mondo narrativo di Miller, Elektra può essere salvata solo morendo, idea che ricalca il destino di molte eroine tragiche classiche. La sua morte diventa un atto sacrificale e una denuncia del mondo maschile violento in cui è immersa. Psylocke Psylocke, personaggio degli X-Men, è una figura complessa che, negli anni ’90, è diventata un simbolo delle donne nei fumetti di quel decennio. La sua rappresentazione riflette molte delle tendenze, contraddizioni e aspettative dell’epoca. Psylocke è spesso ricordata per il suo costume iconico: body viola aderente, katana e sguardo magnetico. È l’emblema della “bad ass” sexy: combattente mortale e al contempo oggetto del desiderio. Questa estetica riflette il contrasto tipico degli anni ’90 tra emancipazione e ipersessualizzazione: le donne potevano essere forti, ma spesso dovevano esserlo secondo uno sguardo maschile. Psylocke unisce telepatia e arti marziali, un mix potente tra mente e corpo. Negli anni ’90, questo incarna il desiderio di vedere donne complesse, capaci di dominare sia il piano mentale che quello fisico, in contrasto con i ruoli passivi del passato. Come simbolo delle donne nei fumetti di quell’epoca, rappresenta il conflitto tra emancipazione e oggettivazione, tra potere autentico e performance estetica. Emma Frost Emma Frost è uno degli esempi più emblematici di ipersessualizzazione dei personaggi femminili nei fumetti degli anni ’90. In quell’epoca i disegni dei supereroi e dei supercriminali erano caratterizzati da un’esagerata accentuazione delle caratteristiche fisiche, specialmente quelle femminili. Questo fenomeno è stato influenzato dalla cultura visiva dell’epoca e dalla crescente commercializzazione dei fumetti.La sua versione più iconica di quegli anni la vede indossare un corsetto bianco molto aderente, stivali alti e un look che accentuava ogni sua curva, con un fisico quasi impossibile. L’abbigliamento, insieme alle pose provocanti e alla figura al limite della perfezione, la rendeva un simbolo dell’ipersessualizzazione femminile. Questo era anche lo specchio di un’industria fumettistica che stava cercando di attrarre un pubblico prevalentemente maschile, che in quegli anni dominava il mercato. I personaggi come Emma erano disegnati per suscitare una reazione visiva, più che per esprimere profondità psicologica o complessità emotiva. Domino Anche Domino, come molti altri personaggi femminili nei fumetti degli anni ’90, è stata creata in un contesto culturale e visivo che enfatizzava un’estetica molto specifica: quella della donna super sexy, forte, ma anche ipersessualizzata. Domino, uno dei personaggi più iconici della X-Force (e poi degli X-Men), è stata creata nel 1992 da Rob Liefeld e Fabian Nicieza, ed è un perfetto esempio di questa tendenza. Come molti altri personaggi femminili dell’epoca, Domino è stata disegnata con un corpo estremamente scolpito, proporzioni quasi impossibili e costumi minimali che accentuavano la sua figura. Negli anni ’90, l’industria fumettistica subì un’esplosione di “super sexy women” che, in alcuni casi, sembrano più destinate a stimolare una reazione estetica che non a rappresentare personaggi con storie complesse. Domino è spesso rappresentata con vestiti aderenti (per esempio, un body attillato o una tuta da battaglia) e assume posizioni che enfatizzano la sua bellezza e forza fisica. Carol Danvers / Captain Marvel Quando nel 2012 Carol Danvers assume ufficialmente il ruolo di Captain Marvel, la Marvel compie un altro passo verso una rappresentazione di donne più forti, complesse e multidimensionali. La sua figura segna un allontanamento dalle tradizionali rappresentazioni femminili ipersessualizzate dei fumetti degli anni ’90 e verso la costruzione di un personaggio che incarna potere, leadership e determinazione senza cadere nei soliti stereotipi. La decisione di far indossare a Carol un uniforme meno ridotta e più funzionale (un costume intero, senza pelle esposta e senza sensualità accentuata) era un chiaro segno della volontà di rappresentare una donna che fosse riconosciuta per le sue qualità interiori, per il suo coraggio e per la sua intelligenza, piuttosto che per il suo corpo. La scelta della Marvel è stato un tentativo di rompere gli stereotipi, di dare alle donne nei fumetti una figura che incarnasse potere e indipendenza e di offrire alle lettrici un modello di ruolo diverso rispetto a quello tradizionale. Kamala Khan / Ms. Marvel Negli ultimi anni, l’industria del fumetto ha iniziato un lento processo di rinnovamento, cercando di rispecchiare la crescente diversità culturale e identitaria della società contemporanea. In questo contesto si inserisce Ms. Marvel (2014), la serie Marvel Comics scritta da G. Willow Wilson e disegnata da Adrian Alphona, che introduce per la prima volta come protagonista una supereroina adolescente musulmana di origine pakistana: Kamala Khan. Lontana dai canoni tradizionali del supereroismo ipermascolinizzato o della femminilità ipersessualizzata, Kamala incarna una figura ibrida, sospesa tra appartenenza religiosa e desiderio di autonomia, tra aspettative familiari e autoaffermazione, tra marginalità e protagonismo. Kamala Khan, rappresenta un nuovo modello per le donne nei fumetti, porta una nuova voce femminile e interculturale nei comics americani. Kamala è una ragazza normale, imperfetta, geek, con cui le giovani lettrici possono identificarsi. Jane Foster / Thor Jane Foster nei panni di Thor rappresenta un momento cruciale nella trasformazione del ruolo delle donne nei fumetti contemporanei. Con l’assunzione del ruolo di Thor, a partire dal 2014, la Marvel propone una narrazione in cui il potere del Dio del Tuono viene trasmesso non per discendenza o diritto ereditario, ma per dignità morale, sfidando implicitamente le strutture maschili insite nella mitologia supereroica classica. La trasformazione di Jane Foster in The Mighty Thor non costituisce un semplice “gender swap” del personaggio originario, ma si configura come un’operazione culturale più complessa: una riscrittura del potere attraverso il corpo femminile e la centralità dell’etica del sacrificio. Mentre combatte per salvare i mondi, Jane affronta anche una malattia terminale, rendendo il suo eroismo non solo fisico, ma profondamente esistenziale. Navigazione articoli MATITE BLU 434 L’ETÀ DELLA CONVIVENZA
Si vede bene che i disegni sono di intelligenza artificiale. Niente carta e inchiostro, niente mano e fantasia; tutta plastica ! Rispondi
Abbiamo perduto la sacralità della parola. Bei tempi quelli in cui in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Oggi verbi, avverbi, congiunzioni, pronomi, aggettivi, preposizioni, proposizioni, coordinate, subordinate e compagnia bella li spariamo direttamente sulla carta senza sottoporli al vaglio dei nostri neuroni. Il ché temo costituisca purtroppo la riprova che i neuroni – almeno quelli deputati alle funzioni letterarie – sono una specie in via di estinzione. Tanto premesso, un Giornale, seppure Popolare – anzi, forse proprio perché Popolare, e cioè rivolto ad un’ampia platea popolare – dovrebbe costituire un baluardo contro il dilagante, inflazionato e insipido pressapochismo di chi scrive. E non ridursi ad accettare di tutto e di più, tanto al lettore di bocca buona gli possiamo propinare patate bollite senza sale, imbellendole e insaporendole con una sfrenata bulimia di immagini scopiazzate a destra e a sinistra. Sempre patate bollite senza sale rimangono! Non udite anche voi la voce accorata del Verbo che si leva nel deserto: Sauro, Sauro, perché mi perseguiti? Rispondi