Numero 3606 del 1° gennaio

–   Copertina di Andrea Freccero, ispirata alla storia principale del numero, un’ambiziosa parodia de “Il fantasma dell’opera” che vede schierati i Paperi al completo. Sulla copertina fa bella mostra di sé Paperone, nel ruolo dell’impresario teatrale che sovrintende alla rappresentazione dell’opera in questione, “Il mistero dei candelabri”, a sua volta parodia dei Miserabili che il grande Giovan Battista Carpi scrisse nel 1989: proprio da quest’altra parodia è tratto il secondo personaggio della copertina, un corvaccio nero che interpreta l’ispettore Javert, ma il cui ruolo, in questa storia, è nullo. La copertina, se non fosse per questo accostamento non troppo felice, sarebbe tra le migliori dell’anno, con un senso di minaccia che riesce a infondere al lettore e che andrà invece perso nel corso della storia a cui si ispira.

–   Il fantasma dell’opera – primo atto, di Francesco Vacca e Mario Ferracina: nel 1897, a Parigi, l’opera “paperopoulaire” mette in scena “Il mistero dei candelabri”, sperando che abbia successo e possa risollevare le sorti del teatro. Questo appartiene per metà a “Moncharmin du Paperon” e a “Rockchard Firmin”, che devono dividersi onori (ed oneri) a causa di un errore nella gara d’appalto. La soprano che dovrà portare in scena l’opera è “Ameliotta”, che tuttavia usa un filtro magico per potenziare la sua voce; uno strano incidente la farà allontanare dal teatro, e i due impresari, invece di richiamarla, si faranno convincere ad assumere al suo posto “Paperine Daaé”, una ballerina timida ma ambiziosa. Ben presto si verrà a scoprire che dietro l’incidente si nasconde il misterioso fantasma, che dopo il grande successo della prima recita rapisce Paperine e si mette d’accordo con lei per… non viene spiegato cosa. Alla fine torna Ameliotta, che abbassa le sue pretese e viene riassunta, ma un nuovo intervento del fantasma la mette definitivamente fuori gioco. Almeno sino alla seconda puntata, che come ai vecchi tempi, apparirà nel numero successivo – ormai le storie in due parti vengono quasi sempre pubblicate nello stesso numero. La storia, molto elaborata anche per una parodia disneyana, si segue con qualche difficoltà, e nonostante una certa cura per i dettagli e la comparsa di tutti, ma proprio tutti i Paperi (Brigitta inclusa), non decolla mai, dando sempre la sensazione che manchi qualcosa che la faccia diventare un capolavoro degno delle Grandi Parodie del passato. Non eccelso il disegno di Ferracina, disegnatore ancora giovane il cui stile ricorda un po’ quello di Carpi, ma di tanto in tanto, specialmente quando appare il fantasma, capace di realizzare qualche vignetta di buon livello. Speriamo in un buon finale!

Il fantasma di Ferracina, abbastanza minaccioso da tenere a galla una trama troppo complessa e priva di una vera suspence

 

–   Cyclist inciter, di Marco Bosco e Francesco Guerrini: nuova storia della serie che vede Paperoga, solo dipendente dell’agenzia creata da Filo Sganga per offrire chi possa svolgere i lavori più improbabili, cercare di eseguire al meglio, ma con esisti disastrosi, uno di questi lavori. Stavolta si tratta di incitare un ciclista amatoriale soggetto a frequenti crisi nel corso delle gare, e in questa occasione, di fronte a un compito più difficile del solito, Paperoga esagera e finisce per travolgere col suo furgone l’intero gruppo dei ciclisti. Filo Sganga, ormai rovinato, dovrà cedere l’agenzia allo stesso Paperoga.

–   La tormenta a valanga, di Tito Faraci e Davide Percoco: Topolino e Orazio, in mezzo a una tormenta, si stanno recando a fare la spesa. Prima incontrano Gambadilegno, a sua volta reduce dal supermercato (che non ha rapinato) e poi Pippo, che si aggira per strada cercando di leggere un libro come se la tormenta non ci fosse. Infine, proprio in vista del supermercato, preferiscono unirsi a un gruppo di ragazzini che stanno giocando a palle di neve e che infine costruiranno un pupazzo. La carota che gli servirà da naso verrà aggiunta alla lista della spesa.

–   L’effetto strabiliante, di Marco Bosco e Blasco Pisapia: l’archivio storico di Torremare, da dove ogni tanto spunta una storia su un antenato dei paperi, ci propone quella di un avo di Gastone, tale Gastonberg, pianista talmente fortunato da poter premere a caso i tasti del suo strumento traendone ogni volta soavi melodie. Ma quando il cugino pasticcione Paperhugo (Paperoga) gli distruggerà il pianoforte, si scoprirà che il merito era dello strumento… per fortuna ci penserà tale Archimedo Pitagora a rimetterlo a posto, salvo vederlo definitivamente distrutto dopo l’ultimo concerto del fortunato pianista.

–   Il passato ricorrente, di Giulio D’Antona e Fabrizio Petrossi: al termine di una missione nel passato, un antenato di Pippo, un po’ meno bislacco di lui, ne prende il posto così da esplorare un po’ quello che per lui è il futuro; Pippo resta nel passato, a “divertirsi” un po’. Alla fine Topolino si rende conto che il Pippo tornato con lui non è quello vero e lo riporta nel passato, dove avverrà un nuovo scambio ma verrà perso un apriscatole elettrico che causerà un piccolo paradosso e una anomalia “tachionica”, della quale Zapotec e Marlin avevano avvisato i nostri eroi… prima che accadesse tutto questo.


Numero 3607 dell’8 gennaio

–   Copertina di Davide Cesarello, che dovrebbe essere ispirata alla saga delle “Isole della Cometa”, la cui seconda parte inizia in questo numero. Tuttavia si ha l’impressione che questa copertina, che presenta Topolino e Pippo su un gommone, più intenti a divertirsi che a preoccuparsi dei numerosi misteri della saga, non sia proprio “centrata” sugli eventi narrati in questa seconda parte, ma nasca piuttosto da un’idea “estiva”, riciclata in questa occasione con l’aggiunta di un idrovolante sullo sfondo per adattarla alla situazione. Lo stesso Cesarello non sembra molto ispirato, con due personaggi che mancano di profondità espressiva e non trasmettono al lettore le giuste sensazioni: se non fosse che il titolo della saga è citato in copertina nessuno avrebbe mai compreso l’abbinamento (e forse proprio per questo viene citato).

–   Le isole della cometa – flight 007, di Pietro Zemelo e Nico Picone: riparte, dopo quasi due anni, la saga delle “Isole della Cometa”, con altre sei puntate che seguono le prime pubblicate nella primavera del 2023. Ma di che parla questa saga? Sarebbe bello riuscire a capirlo e il fatto che il riassunto pubblicato prima della storia sia più chiaro della storia stessa lascia capire che qualcosa non funziona. Il problema, comune purtroppo a molte storie create da sceneggiatori troppo ambiziosi, è l’estrema complessità delle vicende narrate, che si uniscono a una ambientazione insolita – un arcipelago fuori del mondo – e a una serie di personaggi che assomigliano a quelli soliti, ma che non lo sono. Ad ogni modo la storia narra le vicende di “Mick”, ossia Topolino, precipitato col suo aereo in questo arcipelago (“Rodent”) da dove andarsene sembra difficile e dove strani personaggi si aggirano senza che sia ben chiaro cosa vogliano. Sullo sfondo, l’ombra delle “Comete”, un gruppo di piloti che mantenevano i collegamenti fra le isole e che si sono sciolti molti anni prima. Ma adesso, un po’ grazie all’apporto di Mick, un po’ con l’aiuto del misterioso Babou, un “topo rosso” simile a Topolino ma dal carattere introverso, quasi malinconico – certamente il personaggio più interessante fra tutti i protagonisti – le Comete potrebbero riformarsi… benché non sia chiaro dove la storia voglia andare a parare, anzi, e i misteri non facciano che accumularsi senza trovare mai una soluzione. In questa prima – o settima, a seconda dei punti di vista – puntata la relazione fra Mick e Babou si evolve, e i due topi iniziano a collaborare, sempre con lo scopo di rimettere in sesto qualche aereo e riformare il gruppo delle Comete. Ma c’è anche chi sta dando loro la caccia, e proprio nelle ultime vignette si viene a scoprire che Mick si chiama in realtà Mortimer e forse non è chi vuol far credere di essere… il mistero si infittisce, insomma. Si scioglierà mai? Unica nota davvero positiva è il disegno di Picone, anche se la colorazione smorta che accentua l’aria di mistero di ogni vignetta poteva forse essere evitata in favore di una più tradizionale. Ma fosse questo l’unico problema…

Picone è particolarmente bravo nel rappresentare i contrasti e la diffidenza fra i due topi, Mick e Babou

 

–   L’inafferrabile agguanta-guanti, di Niccolò Testi e Alessandro Perina: dove finiscono gli oggetti che scompaiono misteriosamente dalla lavatrice? È il problema che si pone Newton e che viene risolto da una sua invenzione: un piccolo robot “agguanta-guanti”, programmato per attivarsi ogni volta che un guanto scompare, così da ritrovarlo e recuperarlo. L’invenzione funziona fin troppo bene: il robot si impadronirà di tutti i guanti esistenti a Paperopoli, e verrà disattivato non senza difficoltà. L’enorme palla di guanti accumulata nelle sue scorribande diventerà invece un’opera di arte moderna.

Dog singer, di Matteo Venerus e Marco/Stefano Rota: Paperino… canta! Ma è così stonato che tutti fuggono al solo sentirlo: fanno eccezione i cani, che invece lo apprezzano. Ben presto la sua capacità di ritrovare i cani smarriti attirandoli col proprio canto diventa un’attività molto redditizia, finché un giorno, cercando di recuperare in un colpo solo ben 50 levrieri, Paperino si serve di un megafono e finisce per richiamare tutti i cani di Paperopoli, con tanto di padroni inferociti al seguito. Molti di loro, però testimonieranno in suo favore evitandogli di dover ripagare i danni.

 Artiglio e puntiglio, di Vito Stabile e Davide Percoco: breve storia che vede un Topolino non così infallibile cimentarsi con un tipico gioco da Luna Park (che sta visitando con Minni). È il cosiddetto “artiglio”, un braccio meccanico che va guidato dall’esterno per afferrare e recuperare un premio in mezzo a tanti altri oggetti più o meno inutili: nel tentativo di afferrare un pupazzo chiamato “Gaetano il pellicano” Topolino spende – inutilmente – tutti i suoi soldi e alla fine è costretto a rinunciare. Poco dopo passerà Pippo, che afferrerà, al primo colpo, e senza la minima difficoltà, quello stesso pupazzo.

 Il fantasma dell’opera – secondo atto, di Francesco Vacca e Mario Ferracina: si chiude, con un finale che in parte ricalca quello del romanzo, e in parte ne è parodia, l’impegnativa trasposizione disneyana della famosa opera di Gaston Leroux. La trama rimane complicata, e quello che soprattutto non convince è l’identità del fantasma, “interpretato” da un ben preciso esponente della famiglia dei Paperi… che purtroppo appare completamente fuori parte. È anche vero che tra i Paperi, a voler cercare col lanternino, non ce n’è uno che abbia quelle caratteristiche eroiche e disperate tipiche del personaggio di Leroux e ultimo esponente dei famosi eroi romantici dell’800, ma forse proprio per questo l’intera parodia suona falsa, e sarebbe forse riuscita meglio se per una volta fosse stata cucita su misura per i Topi. Che la parodia funzioni male lo si vede anche da molti passaggi, che rimangono inesplicabili a chi non conosce il romanzo originale, come la presenza di Paperoga che interpreta il ruolo dell’ambasciatore della “Vintia” (la Persia), o la curiosa presenza di due impresari – Paperone e Rockerduck – laddove uno solo sarebbe bastato. Oppure, semplicemente, potrebbero essere vere le voci che dicono che le Parodie siano sgradite al direttore di Topolino, il quale preferirebbe invece presentare versioni “alternative” dei personaggi, in quanto tali versioni possiedono un potenziale ben maggiore – come infatti ben si vede nella storia delle “Comete”, tra i cui difetti non vi è certo l’uso troppo disinvolto dei personaggi classici. Sempre discreto, nulla più, il disegno di Ferracina.

Ferracina eccelle soprattutto quando si tratta di portare in scena il Fantasma, qui in una posa fra le più classiche

 

Numero 3608 del 15 gennaio

–   Copertina di Andrea Freccero, che non si capisce bene a cosa sia ispirata: la bandiera tricolore che orna il cilindro di Paperone, vestito con eleganza e sul punto di salutare il lettore, dovrebbe far pensare alla curiosa iniziativa di questo numero, vale a dire presentare la storia di apertura, oltre che in italiano, in quattro dialetti fra i più noti, il fiorentino, il napoletano, il milanese, il catanese-siciliano. Perché usare la bandiera italiana, allora? Ad ogni modo pare che l’iniziativa abbia avuto un tale successo – con tutte le copie in dialetto esaurite subito, o forse finite nelle mani degli speculatori – che verrà presto riproposta. D’altra parte, non fosse stato per questa bizzarra idea, il numero si sarebbe rivelato piuttosto mediocre. Così, invece…

–   Il PDP 6000, di Niccolò Testi e Alessandro Perina: storia dal sapore ciminiano, a partire dal titolo, e che vede l’ennesima invenzione di Archimede – un’intelligenza artificiale che ricorda un po’ la famosa Uno compagna di PK – venire impiegata per risolvere “definitivamente” il problema dei Bassotti grazie alla sua capacità di riconoscere ogni minaccia ed attivare la difesa più appropriata senza che debba occuparsene personalmente Paperone. Ma come ogni volta che Archimede inventa qualcosa di “definitivo”, qualcuno scopre il modo di aggirare l’ostacolo: sotto la guida del bassotto “intellettuale” la banda riesce a riprogrammare l’invenzione di Archimede in modo che funzioni al contrario e lasci loro il campo libero. Paperone riuscirà a salvare la situazione solo ricordando all’intelligenza artificiale che i soldi, lui, se li è guadagnati, i Bassotti no. Per qualche ragione – francamente tirata per i capelli – questo basta a far cambiare nuovamente idea al programma di Archimede, a cui l’intervento dei Bassotti aveva fatto confondere i “buoni” con i “cattivi”. Come sempre, Paperone tornerà ad occuparsi personalmente della difesa dei suoi averi. Questa è la storia protagonista della curiosa iniziativa editoriale e che viene presentata, oltre che in italiano, in quattro diversi dialetti, e difficilmente sarebbe passata alla storia se non fosse stato per questa trovata: la sceneggiatura è simile a tante altre sullo stesso tema e i disegni raggiungono a stento la sufficienza.

Perina è bravo nel disegnare l’intelligenza artificiale che dà il titolo alla storia e che ricorda la famosa Uno delle storie con PK

 

–   Il pulsante annullante, di Giovanni Eccher e Paolo Di Lorenzi: Newton Pitagorico è di nuovo in scena con una delle sue strane invenzioni: il “pulsante annullante” che, se premuto, “annulla” le conseguenze dell’ultima azione compiuta. E quindi il vaso rotto accidentalmente torna come nuovo, i fiori sciupati tornano freschissimi e così via. Paperino, usando abilmente l’invenzione di Newton, rimedia a tutti i disastri combinati nelle ultime ore, sino a causarne uno talmente grosso che provoca la rottura del pulsante e la ricomparsa di tutti i danni da lui causati… e tutti insieme!

–   L’imprendibile banda del muro, di Niccolò Testi e Marco Mazzarello: protagonista di questa storia è l’ispettore Manetta, che, indagando su una banda di ladri che sembrano capaci di rendersi invisibili, si vede assegnata la custodia di Alonso, un pastore bavarese che in teoria dovrebbe essere il miglior segugio della polizia, ma che in realtà pensa solo a mangiare qualunque cosa si trovi alla sua portata (gli è stato infatti mandato per errore: il vero segugio era un altro). Ma nel momento in cui l’inafferrabile banda colpisce ancora, Alonso dimostrerà tutto il suo valore risolvendo il mistero.

–   Al contrario, di Tito Faraci e Blasco Pisapia: Gastone ha una giornata “strana”, in cui sembra perseguitato dalla sfortuna come se fosse Paperino. Inoltre qualcuno lo segue, forse animato da cattive intenzioni. Ma un colpo di scena conclusivo farà scoprire che tutte le sue fortune sono in realtà delle fortune indirette: a seguirlo è infatti un miliardario “eccentrico”, ammiratore dello zio Paperone, che essendo venuto a conoscenza delle sfortune di Paperino ha deciso di “rimediare” consegnandogli un assegno “pieno di zeri ma con un numero davanti”… peccato abbia seguito il papero sbagliato.

–   Le isole della cometa – flight 008, di Pietro Zemelo e Nico Picone: seconda puntata della seconda parte della complessa saga sulle “Comete”, con al centro una versione alternativa dei Topi e dei loro amici, oltre a qualche personaggio nuovo. L’azione, già scarsa in generale, si ferma del tutto in questa seconda puntata, che vede una lenta evoluzione del protagonista Mick (Topolino), e del suo rapporto con le sorelle gemelle Maya e Minerva (Minni), quest’ultima interessata a lui, mentre le attività dei personaggi di contorno, primo fra tutti il “topo rosso” Babou, sembrano ristagnare nella vana ricerca di qualcosa che nessuno riesce a trovare. Da quel poco che si capisce, pare che vi sia uno zio, pure chiamato “Mick”, che in molti stanno cercando di ritrovare, ma per il resto… non è che si brancoli nel buio, è che proprio non è chiaro dove voglia andare a parare una storia che pure è narrata con molti dettagli, una grande introspezione dei personaggi, e pochissime concessioni all’umorismo gratuito tipico di molte storie disneyane. È un po’ come leggere una poesia molto bella, piena di ritmo e di belle parole, ma scritta in una lingua sconosciuta: cosa mai vorrà dire? Anche i disegni di Picone fanno lo stesso effetto: curatissimi, incredibilmente espressivi con i Topi, che siano Mick, Maya, Minerva o Babou – così ben raffigurati da non avere più segreti agli occhi dei lettori – eppure non riescono a “scaldare”. Sarà la colorazione smorta – avrà un significato nascosto? – o la continua ripetizione delle stesse facce perplesse ed annoiate (mai come quella del lettore)? Il protagonista Mick, in questa puntata, riesce a decollare, aiutato dalla gentile Minerva. Quella che non decolla è la storia.

Picone non delude quando si tratta di scavare nei complicati sentimenti dei protagonisti, in questo caso le gemelle Maya e Minerva

 

Numero 3609 del 22 gennaio

–   Copertina di Paolo Mottura, ispirata alla prima storia del numero, nella quale Lord Hatequack si fa in quattro: vengono infatti presentate ben quattro storie diverse, narrate da alcuni esponenti della famiglia dei Paperi: lui stesso, Paperone, Nonna Papera e Pico. La copertina presenta Paperone e Pico in attesa del tram (che compare nella storia narrata dal primo), ma i due sembrano tutto fuorché spaventati o preoccupati. La solita colorazione smorta affonda ulteriormente una copertina fra le meno riuscite degli ultimi anni, anche se parte della responsabilità può essere attribuita alla storia di Hatequack, forse la peggiore del ciclo.

–   Una gara da paura, di Giulio Gualtieri e Roberto Vian: Lord Hatequack vuole imitare il famoso quartetto di scrittori (Shelley con la moglie, Byron e Polidori) che nel 1816 si riunì a Cologny dando vita ad opere leggendarie, fra cui “Frankenstein”, e organizza a casa sua una specie di gara con Paperone, Pico e Nonna Papera che insieme a lui stesso si raccontano quattro storie a tema horror. Tuttavia, prima di poter decidere quale storia sia la migliore, i protagonisti dei quattro racconti appaiono in massa nella villa di Hatequack e si uniscono a loro volta ai Paperi dando un contributo importante alla gara.

–   Il casco copiatore, di Giovanni De Feo e Francesco Guerrini: il casco copiatore è una nuova invenzione di Archimede che permette a chi lo indossa di replicare senza errori le azioni di chi viene osservato. Paperone lo fa indossare a Paperino per farlo diventare un grande ciclista al posto di un campione che ha lasciato la sua squadra perché non era pagato abbastanza, ma ben presto il nipote inizia a usarlo per diventare bravissimo in altri campi: in cucina, nel ballo, ogni genere di sport… finché il casco, ormai sovraccarico, impazzisce facendo perdere a Paperino la gara più importante dell’anno.

–   L’accoglienza floreale, di Marco Bosco e Valerio Held: Paperone, che deve concludere un affare con l’esigente Mila Van Shower, “regina delle tende da doccia”, ingaggia il più economico “floral designer” sul mercato, vale a dire Paperoga, per trovare i fiori più adatti a metterla di buonumore. Dopo qualche ricerca su Internet il nipote riempie l’esterno del deposito di lantane e l’interno di camelie: i primi fiori si rivelano molto efficaci, i secondi un tragico errore, dovuto alla troppa fretta impiegata nelle ricerche. Inevitabile il disastro finale con tanto di caccia al “nipotastro” (per una volta non Paperino).

–   Le isole della cometa – flight 009, di Pietro Zemelo e Nico Picone: e siamo alla terza puntata di questa seconda parte delle “Comete”. Il mistero si infittisce, tanto per cambiare, e diventa sempre più difficile comprendere quanto stia succedendo in una trama che a mano a mano diventa più caotica e che si intreccia ad una serie di flashback che ci mostrano scorci del passato di Babou, il “topo rosso”, in compagnia delle gemelle Maya e Minerva. Da quel poco che si capisce la ricerca dello zio Mick continua, mentre i “cattivi” (che ovviamente non è chiaro chi siano e quanti siano) stanno cercando di mettere le mani sul Mick-Topolino, e pur di catturarlo hanno offerto a Babou un idrovolante nuovo; il “topo rosso”, tuttavia, sembra indeciso sul da farsi. Anche a fronte di letture ripetute la comprensione della trama rimane bassa, mentre la noia regna suprema. I disegni di Picone, sempre mortificati dalla colorazione smorta, rimangono a un buon livello, ma per stimolare il lettore ad andare avanti per ulteriori tre puntate servirebbe qualcuno al livello di Scarpa o di Gottfredson.

Un Babou particolarmente ben riuscito. Peccato sprecare in una storia troppo macchinosa il talento di Picone

 

–   Topolino e i suoi amici diventano i Fantastic Four, di Steve Behling/Riccardo Secchi e Lorenzo Pastrovicchio: ed arriva sulla rivista un nuovo crossover tra la Marvel e la Disney, con l’inevitabile contorno di polemiche fra chi trova interessanti, anche divertenti, storie come queste, e chi le trova inutili e persino irritanti. Questa volta si parla dei Fantastici Quattro, che vengono interpretati da Topolino (Mr. Fantastic), Minni (ovviamente la Donna Invisibile), Paperino (la Cosa) e Pippo (la Torcia Umana). Loro avversario è “Gamba-Talpa”, che sostituisce un nemico storico come l’Uomo Talpa e che ovviamente verrà sconfitto dall’azione combinata dei quattro esponenti del gruppo. Di notevole interesse l’apparizione dei terrini e dei fermini, protagonisti di una delle più famose storie di Carl Barks, ma anche la presenza, sullo sfondo, della Ducklair Tower, che molti autori stanno integrando nel panorama di Paperopoli. La sceneggiatura, scritta dal marvelliano Steve Behling e dal disneyano (ma anche bonelliano) Riccardo Secchi, fila via incredibilmente fluida, sulla falsariga della prima avventura del quartetto: presentazione, narrazione delle origini, primo scontro col nemico, pausa, scontro conclusivo col nemico; i disegni di Pastrovicchio, più in forma del solito, aggiungono il tocco finale ad una storia che, pur restando ben lontana dalle migliori apparse negli ultimi anni, è forse quella meglio riuscita del breve ciclo di crossover.

I Fantastici Quattro di Pastrovicchio, al completo

 

Numero 3610 del 29 gennaio

–   Copertina di Andrea Freccero, ispirata alla prima storia del numero, che vede una riproposta dell’eterna rivalità fra Paperone e Rockerduck: i due rivali in affari, Paperone contento, Rockerduck preoccupato, appaiono come sballottati in mezzo a grafici finanziari che salgono e che scendono. Che il lettore capisca a cosa si riferisca la copertina, è scontato; che la copertina si possa definire riuscita, è un altro paio di maniche, anche se non se ne può negare l’originalità.

–   La controvittoria affaristica, di Vito Stabile e Vitale Mangiatordi: ennesima sfida fra Paperone e Rockerduck, col secondo che per una volta riesce ad averla vinta grazie ad un piccolo colpo di scena finale, uno di quelli che in genere risolvono la situazione a favore del primo. Paperone, sconfitto, non si scompone e racconta personalmente l’accaduto ai colleghi miliardari. Come lo stesso Stabile ha spiegato sul Papersera, non si tratta di “signorilità” o di “sportività”, ma di un modo per non dare soddisfazione a Rockerduck, al quale importa non tanto la vittoria quanto l’umiliazione da infliggere al rivale.

–   I denti invadenti, di Corrado Mastantuono: torna, pienamente protagonista, Bum Bum Ghigno, personaggio davvero singolare creato da Mastantuono nel lontano 1997, e che non si vede spesso sulla rivista, per quanto negli ultimi tempi l’autore romano gli abbia dedicato molte brevi storie mute, ricche di un umorismo surreale quanto il carattere del personaggio. La sua caratteristica più appariscente sono i tre (o forse quattro) enormi denti che gli spuntano dal becco e che sono spesso fonte di problemi e gag: in questa storia lo vediamo afflitto da un problema di “sensibilità” che spesso gli causa dolori atroci. La soluzione? Un cambio totale della dentatura, che farà sparire i dolori ma anche i complessi che da sempre Bum Bum si porta dietro. Diventato sin troppo sicuro di sé stesso, il corpulento papero diventerà un fenomeno da baraccone, in grado di compiere mirabolanti imprese coi suoi denti (che oltre ad essere belli e funzionali sono anche robustissimi) e finirà per ritrovarsi senza amici, soprattutto Archimede e Paperino che da sempre ne apprezzavano la compagnia. Inevitabilmente i denti nuovi spariranno, quelli vecchi ricompariranno e ogni cosa tornerà come prima. Storia vista e rivista, trita e ritrita, ma non per questo priva di originalità e di trovate geniali – prima fra tutte quella dei “superdenti“ – e disegnata splendidamente da un autore a cui le storie disneyane vanno forse troppo strette. Passerà comunque alla leggenda il profilo dei nuovi denti di Bum Bum, che sembrano così reali da far quasi paura (anche ai lettori), e che rubano letteralmente la scena al protagonista. È di gran lunga questa, la storia migliore del numero.

Paperino e Archimede perplessi di fronte ai “superdenti” di Bum Bum, un po’ troppo realistici

 

–   La gara dei guai, di Alexander Kirkwood Brown e Arild Midthun: storia di produzione scandinava che vede Paperino nell’insolito ruolo di “responsabile della sciolinatura degli sci della squadra di biathlon paperopolese” (il biathlon è molto popolare in Scandinavia). Combinerà guai? No! Per una volta a combinarne sono due dei tre componenti della squadra che, a forza di fare scherzi stupidi al terzo atleta, comprometteranno l’esito della gara, che sarà invece vinta dai tre nipotini. Paperino tenterà in ogni modo di trovare una soluzione, anche gareggiando in prima persona, ma invano.

–   In fragranza di reato, di Marco Bosco e Carlo Limido: Gambadilegno, convinto che a Trudy piaccia il profumo “Beffardo”, decide di comprarglielo (!). Ma una volta scopertone il prezzo esorbitante cambia idea e, con l’aiuto di Sgrinfia, cerca di rubarlo: purtroppo Basettoni comprerà l’ultima boccetta, e i due dovranno rubare anche la sua macchina, che verrà a sua volta rubata da un loro “collega”; poi interverranno Manetta e Rock Sassi e alla fine tutti saranno arrestati. Peccato che il profumo in questione fosse la versione maschile, meno costosa e che Trudy intendeva regalare al suo uomo…

–   Le isole della cometa – flight 010, di Pietro Zemelo e Nico Picone: tra squilli di tromba, Paperi in sottofondo ed eroi che si decidono ad assumere il ruolo per il quale sono nati, prosegue, nella confusione più totale, la seconda parte dell’interminabile saga delle “Comete”. Da quel poco che si capisce, il protagonista (?) Mick, in compagnia dell’amata (?) Minerva, si reca da una “strega” per trovare qualcosa che gli faccia passare le vertigini ottenendone invece una serie di profezie e un rimedio che non si capisce se sia solo un placebo (magari fosse la sola cosa che non si capisce). I cattivi continuano a tramare nell’ombra (anche al sole), alla fine della puntata Mick decide, assumendo una posa eroica, di essere “stanco di fuggire”, e sullo sfondo delle già intricatissime vicende inizia a stagliarsi l’ombra di un papero misterioso – probabilmente Paperone – che avrebbe addirittura finanziato la costruzione di una base segreta piena di aerei (e non potevano usarli prima invece di cercare di riparare gli altri?). Dunque il mistero si infittisce ancora? Ma certamente! E non mancano i colpi di scena, come la strega che è davvero una strega (no, non è Amelia) o la chiave che apre la base non così segreta. Quanto manca alla fine? Ci saranno i fuochi d’artificio? Avevamo davvero bisogno di dodici puntate (sempre che non ne arrivino altre, cosa che sta diventando probabile alla luce del coinvolgimento del papero misterioso)? E Picone, non vorremmo tutti vederlo disegnare qualcos’altro?

Ed ecco Mick-Topolino assumere la più classica delle pose eroiche, adesso che è “stanco di fuggire”

 

3 pensiero su “GENNAIO 2025, GLI EROI DISNEY SONO I FANTASTICI QUATTRO”
  1. io i disegni moderni di topolino li trovo orribili. w i classici Massimo de Vita, Romano Scarpa, Luciano Gatto, Chierichini, Giorgio Cavazzano, Carpi ecc

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