Edwige Fenech, circa 1984

Edwige Fenech, nome d’arte di Edwige Sfenek, nasce ad Annaba in Tunisia nel 1948. Da giovane univa tratti somatici delicati da francesina di origini algerine a un fisico prorompente che aveva nel seno il punto di forza. Il suo successo è stato nell’avere capito che poteva sfruttare le sue doti fisiche nel mondo del cinema. “Si spogliano tutte”, confessava alla stampa, “pure le quarantenni con il seno cadente… perché non dovrei farlo io?”.

Il suo corpo dalle forme procaci e la sua enorme carica di seduzione la resero un attrice irrinunciabile del nostro cinema erotico. Ma la Fenech non ha recitato soltanto in commedie sexy-scollacciate, nel corso della sua carriera l’abbiamo vista alle prese con la commedia brillante, sotto la guida di registi come Risi, Steno e Sordi e pure nel thriller con Bava, Carnimeo e Deodato (con lui è il suo ultimo film del 1988).

Edwige Fenech non ha abbandonato il mondo dello spettacolo, pure se non fa più l’attrice e non frequenta salotti o programmi televisivi. Non ha più l’età per i ruoli da pin up che l’hanno resa famosa e desiderata per anni da milioni di italiani. Dopo essere stata compagna del noto imprenditore Luca Cordero di Montezemolo si è messa a fare la produttrice cinematografica insieme all’ex compagno Luciano Martino, lanciandoo pure film di successo.

È stata alla guida di Elle Cinematografica e Caprim, non si sa se le due società siano frutto dell’esperienza maturata accanto a Luciano Martino o delle raccomandazioni di un influente Montezemolo. In ogni caso, la Fenech ha prodotto il serial televisivo “Commesse” con il trio femminile Ferilli, Brilli e Pivetti, e nel cinema ha realizzato film come “Monster” di Patty Jenkins con Charlize Theron e Christina Ricci, basato su una storia vera e osannato da critica e pubblico. Dirige la Immagine cinema che collabora con la Dania Film di Luciano Martino. La Fenech fa pure la stilista di moda e crea modelli esclusivi per l’altra società di cui ormai fa parte di diritto.

In televisione è stata brillante showgirl per trasmissioni di successo come “Ric e Gian Folies” (1983), “Risatissima” (1985), “Bene, Bravi, Bis!” (1989), “Sulla cresta dell’onda” (1989), “Immagina” (1990) e soprattutto un’edizione di “Domenica In” (1990) e del “Festival di Sanremo” (1990). Oltre alle fiction che ha realizzato come attrice: “Nel gorgo del peccato”, “Donna”, “Il coraggio di Anna” e “Delitti privati”, la ricordiamo pure conduttrice di “Singoli” (1997).

Inutile negare che Edwige Fenech viene soprattutto ricordata per quel ventennio d’oro di cinema sexy scollacciato, per la commedia trash alla Vitali-Banfi sempre nelle vesti di sexy pin-up. Edwige Fenech è l’antesignana di questo cinema, con “Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda” del 1972 e, soprattutto, con “Giovannona Coscialunga disonorata con onore” del 1973, pietre miliari del genere sexy. Nel 2000 ha ringraziato pubblicamente il politico Walter Veltroni per avere elogiato “Quel gran pezzo dell’Ubalda” e per averle così permesso di non vergognarsi più.

Erano gli anni settanta, il cinema italiano di serie A produceva stanche commedie che soccombevano di fronte ai kolossal di Hollywood e c’erano registi impegnati con noiose pellicole che faticavano a trovare un pubblico. In compenso c’era “il cinema di genere” e tra queste opere spiccava la commedia sexy che vedeva protagonista le bellezza di Edwige Fenech e di altre attrici come Gloria Guida. Loro un pubblico ce l’avevano e si facevano carico di svelare voglie e appetiti repressi. Ma non erano film porno, come qualcuno voleva farli passare: visti adesso sono innocenti commedie da ragazzini. C’era sempre la doccia con l’attrice nuda, un immancabile buco della serratura dal quale spiare e un po’ di sesso da guardoni appena accennato. Mica tanto di più.

Il fenomeno Giovannona Coscialunga
Il regista Sergio Martino contribuisce al lancio della commedia sexy reallizzando, nel 1973, una delle pellicole che fanno da apripista e da modello al genere: “Giovannona Coscialunga disonorata con onore”.

Si tratta di uno dei ruoli più importanti ricoperti da Edwige Fenech, attrice molto valorizzata da Martino, all’interno di una pellicola-manifesto della commedia scollacciata. Se è diventato un cult movie parte del merito va anche a Paolo Villaggio, che ne “Il secondo tragico Fantozzi” (1976) lo cita come film preferito e lo paragona alla “Corazzata Potëmkin” (1926), definita invece “una cagata pazzesca”. Edwige Fenech, dopo questo film, diventa l’incontrastata dominatrice della commedia sexy, genere nel quale si esibirà nelle caratterizzazioni più varie, sempre con brillanti risultati.

“Giovannona Coscialunga disonorata con onore” è scritto e sceneggiato da Francesco Milizia, Carlo Veo, Tito Carpi e Franco Mercuri. La fotografia è di Stelvio Massi, il montaggio di Attilio Vincioni, mentre aiuto regista è Michele Massimo Tarantini. Le scenografie sono di Giovanni Natalucci e le musiche di Guido e Maurizio De Angelis. Produce Luciano Martino. Interpreti: Edwige Fenech, Pippo Franco, Gigi Ballista, Vittorio Caprioli, Danika La Loggia, Francesca Romana Coluzzi, Riccardo Garrone, Adriana Facchetti e Vincenzo Crocitti.

Pippo Franco è il segretario del commendator La Noce (Ballista) ed è sua l’idea di far passare la prostituta Cocò (Fenech) per la moglie dell’industriale. Lo stratagemma dovrebbe servire a intenerire l’onorevole Pedicò (Caprioli), sensibile alle bellezze femminili, e a evitare dure sanzioni per l’inquinamento prodotto dalla industria di formaggi. Da qui si dipana la farsa con Edwige Fenech, prorompente prostituta volgare e sguaiata, che si ingegna per concupire l’onorevole. Il problema è quando parla…

Per il critico Mereghetti si tratta di “una commedia degli equivoci dall’umorismo greve e chiassoso dove la Fenech doppiata in marchigiano non fa vedere quasi niente, Pippo Franco è sguaiato come al solito e la comicità si riduce ai soliti va e vieni dalle stanze sbagliate”. Mereghetti si scandalizza pure che il Ministero del Turismo e dello Spettacolo abbia dato un contributo a un film come questo. Si tratta di una stroncatura eccessiva perché Giovannona Coscialunga è una dignitosa commedia sexy, forse una delle migliori di questo periodo. Si ride molto e lo si fa ancora oggi, a distanza di decenni dalla sua realizzazione. Non mi pare poco.

Pippo Franco rimane senza parole sotto il seno di Edwige Fenech

 

Un nuovo pretore arriva al piccolo paese siciliano di Roccapizzo, un fantasioso comune alle pendici dell’Etna, ed è lui che mette nei guai l’industria del formaggio Straccolone. Nell’ufficio dell’azienda si respira un’aria pesante e il commendator La Noce, coinvolto nello scandalo del fiume inquinato, medita l’espatrio. Pippo Franco è un irresistibile segretario balbuziente, che si esprime al meglio della sua comicità romanesca ed è attratto dalle belle donne. Le prime inquadrature lo vedono intento a scrutare le cosce dell’impiegata che indossa conturbanti minigonne.

Fin da subito la pubblicità indiretta si spreca: Come è abitudine in questo periodo, sono frequenti le inquadrature su pacchetti di sigarette Astor, acqua Pejo e Uliveto, J&B (immancabile) e Fernet Branca, veri e propri sponsor del film. Pippo Franco ha l’idea di chiedere aiuto all’onorevole Pedicò (Caprioli), classico democristiano tutto casa e chiesa che ha per moglie la statuaria Francesca Romana Coluzzi. Il segretario scopre, con l’aiuto di un prete in odore di omosessualità, che l’onorevole ha una passione segreta: le belle mogli degli altri.

Pippo Franco cerca una ragazza disponibile a recitare la parte della signora La Noce, visto che la vera moglie del commendatore è brutta e timorata di Dio. Dopo una ricerca tramite agenzia che lo porta a contattare un transessuale, decide di fare da solo e con la sua Fiat Cinquecento scassata rimorchia la Fenech nella zona dove battono le mignotte. La prima cosa che lo attrae è il sedere della ragazza, che lo fa inchiodare di colpo per tentare un approccio. Stupendo il dialogo. Pippo Franco: “Co… co… come te chiami?” (è balbuziente). Fenech: “Ma che fai, sfotti? Me chiamo Cocò!”.

Pippo Franco istruisce la prostituta, la veste come moglie del commendatore e quando le prende le misure si accorge che sono: 98-98-110. Mentre la camera inquadra il seno della Fenech dall’alto lui esclama: “Quasi quasi mando affanculo tutto!”. Quando l’accompagna al treno diretto in Sicilia, si accorge che la ragazza parla un pesante dialetto ciociaro e si esprime come una burina. “Ma questa parla sempre così?”, fa il commendatore. “No, pure peggio”, risponde il segretario. Nella cabina, Cocò completa l’opera e scambia un orinale per una tazza da caffè. Ma ormai il piano è partito e sul treno c’è pure l’onorevole, con la sua bruttissima segretaria zitella che ha un debole per il commendatore.

Durante la cena, Cocò non parla con la scusa che ha fatto un fioretto a San Rocco. Dovrebbe sedurre l’onorevole, ma il suo piedino viene intercettato dalla segretaria, che pensa a un’insidia da parte di La Noce. Da qui parte la commedia degli equivoci. Sul treno recita una piccola parte anche il caratterista Vincenzo Crocitti, il quale diventa matto per via dei continui cambi di cuccette che sono la molla della comicità. Pippo Franco e la Fenech fingono di fare l’amore per sconvolgere l’onorevole e, alla fine, sono talmente coinvolti che finiscono veramente a letto insieme.

Quando la Fenech si presenta in tutto il suo splendore, lui esclama: “Ammazzate che pompelmi e che belle cosce!”. E lei in ciociaro: “Nun è pe’ fa la superba, ma a lu paese me chiamano Giovannona Coscialunga!”. Alla stazione di Battipaglia sale anche un omosessuale e l’onorevole Pedicò entra nella sua cabina invece che in quella di Cocò. Il gay arpiona la gamba dell’onorevole e non se lo vuole far scappare. In tempi di politically correct scene come questa si beccherebbero la qualifica di omofobe e non potrebbero essere girate.

Il commendator La Noce finisce nella cuccetta della zitella, segretaria dell’onorevole, mentre Pippo Franco e la Fenech se la spassano perché, in fondo, Cocò è innamorata di lui. La situazione di caos ricorda molto le comiche del cinema muto e la pochade, ma è il sale dell’umorismo. La farsa raggiunge l’apice quando entrano in campo anche Robertuzzo, il protettore di Cocò, e la vera moglie del commendatore. Il pappa estorce a Pippo Franco la confessione a suon di ceffoni, quindi si allea con la moglie di La Noce e parte alla ricerca della sua donna. Robertuzzo è un Riccardo Garrone molto bravo, che ricordiamo attore di molti film con Tinto Brass e che, per l’occasione, veste la maschera di un bullo di periferia dalla parlata ciociara e sbagliando tutti i congiuntivi.

Intanto Cocò impara a dire l’essenziale con frasi numerate che il commendatore le fa memorizzare. La finta coppia è pronta per l’invito a pranzo alla villa dell’onorevole. La parte conclusiva si consuma proprio a casa Pedicò dove, tra piscina e camere, assistiamo a un nuovo tourbillon di scambi di letti e situazioni paradossali. Il commendatore se la dice con la moglie dell’onorevole, ci gioca a tennis, le accarezza una gamba dopo che si è infortunata e, quando è notte, cerca di entrare in camera sua. L’onorevole tenta di drogare La Noce con il caffè, ma addormenta Cocò e non riesce ad approfittare di lei. La segretaria zitella, intanto, schiuma dalla rabbia ed è gelosa del commendatore. Una commedia degli equivoci tra uomini e donne che passano da una stanza all’altra, ma nessuno combina niente.

Pippo Franco, che ha avuto un guasto alla sua Fiat 500, fa l’autostop per raggiungere la villa a Roccapizzo. Prima incontra un pazzo uscito dal manicomio, che è quasi del tutto cieco e guida come un folle mentre ride isterico. Quando il pazzo lo scarica ottiene un passaggio da un carro funebre e si sdraia in mezzo ai fiori al posto del morto. Pippo Franco arriva alla villa e, a questo punto, comincia la comica finale con lui che cade in acqua, ma non sa nuotare, e tutti gli altri che lo seguono tra sganassoni e spinte. Robertuzzo e la vera moglie del commendatore sono arrivati sul luogo del misfatto e la frittata è completa. Mogli e amanti si prendono a botte in un finale da torte in faccia che il regista gira a supervelocità per rendere l’idea della comica.

Finiti tutti all’ospedale, Robertuzzo ricatta il commendator La Noce e l’onorevole Pedicò. Alla fine il protettore di Cocò diventa manager dell’industria di formaggio, l’onorevole risolve tutti i problemi legati all’inquinamento e il commendator La Noce è contento perché ha trovato un vero segretario. Pippo Franco corona il suo sogno d’amore con Edwige Fenech e si mette a fare il pappa della ragazza per sbarcare il lunario. Solo che non ha proprio il fisico da protettore e, quando porta Cocò in una zona che non è la sua, viene massacrato di botte da un gigantesco Franceschino (Nello Pazzafini). “’A Franceschi’, nun me mena’…”, implora. Ma il ceffone arriva lo stesso e lo stende. “Ma almeno glielo hai preso il numero di targa?”, chiede a Cocò.

Il film, a tratti, pare un “Pretty Woman” (1990) all’incontrario, perché anche in questa pellicola la ragazza di strada si innamora, ma finisce per tornare a fare la mignotta ed è proprio il suo ragazzo che ce la porta. Il film non è per niente volgare, si tratta di una farsa divertente e piacevole, una commedia degli equivoci secondo lo schema classico, condita con una spruzzatina di sesso. Gli attori sono molto bravi. Pippo Franco è in gran forma e Vittorio Caprioli è un professionista di grande livello. La Fenech è molto sensuale e non si limita alla sola presenza scenica. Bene anche Gigi Ballista, sempre molto credibile.

Il titolo del film doveva essere “Un grosso affare per un piccolo industriale”, ma siccome andavano di moda i titoli lunghi (tipo “Mimì metallurgico, ferito nell’onore…”), si pensò a questa sorta di titolo-parodia. In realtà è proprio il titolo volgare che ha prodotto tanti giudizi negativi da parte dei critici dal palato fine, ma è sempre merito del titolo se lo ricordiamo come un film simbolo di un’epoca.

La pellicola si avvale di un Pippo Franco al massimo delle sue capacità e, come era già capitato per “Quel gran pezzo dell’Ubalda…”. È soprattutto su di lui che si appunta la responsabilità di far ridere. Ricordiamo alcune battute. Commendatore: “Ma non dire cose arcane!”. Pippo Franco: “Ar cane? E chi gli ha detto niente ar cane?”. Due mogli all’aeroporto. Prima moglie: “Ma tu quando fai l’amore ci parli con tuo marito?”; seconda moglie: “Se mi telefona…”. Pippo Franco a Cocò: “La cosa rimanga tra noi, come dicono i francesi: entreneuse…”. Pippo Franco che si becca una scarica di multe: “Vigile Mastofi, vigile Mastofi… ma sto’ fijo de ’na mignotta c’ha le penne all’arrabbiata!”. Protettore: “Dove sta Cocò?”; Pippo Franco: “Se dice dove sta Zazà!”.

Concordiamo con il critico Michele Giordano, che ha visto un film “ben costruito, anche se appesantito da un eccesso di rocambole finale e basato su battute spesso stantie”. Anche se la componente comica è prevalente, le grazie della Fenech vengono mostrate con abbondanza e, proprio per questo motivo, possiamo dire che con Giovannona Coscialunga comincia la commedia erotica italiana.

Interessante notare che in molte commedie del periodo c’è la figura dell’onorevole un po’ intrallazzone a cui piacciono le donne. Citiamo Lando Buzzanca nella parte dell’onorevole Puppis (in odore di omosessualità) nell’ottimo “All’onorevole piacciono le donne” (1972), che costò anche qualche problema di censura al regista Lucio Fulci, perché ispirato a un vero personaggio politico. In tempi successivi, lo stesso Vittorio Caprioli si ripeterà con “L’Affittacamere” (1976), film diretto dal geniale Nando Cicero, impersonando l’onorevole Vincenzi.

L’ultimo libro di Gordiano Lupi: “Storia della commedia sexy all’italiana, volume 1 – Da Sergio Martino a Nello Rossati”, Sensoinverso Edizioni 2017

 

Di Gordiano Lupi

Gordiano Lupi (Piombino, 1960) ha fondato nel 1999 la rivista – casa editrice "Il Foglio Letterario", che dirige. Ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Collabora con Poesia di Nicola Crocetti, Valdicornia News, Inkroci, Futuro Europa. Traduce molti scrittori e poeti cubani (Alejandro TorreguitartRuiz, Virgilio Piñera, Zoé Valdés, Felix Luis Viera …). Ha pubblicato libri monografici sul cinema italiano. Tra i suoi lavori: Cuba Magica – conversazioni con un santéro (Mursia, 2003), Un’isola a passo di son – viaggio nel mondo della musica cubana (Bastogi, 2004), Almeno il pane Fidel – Cuba quotidiana (Stampa Alternativa, 2006), Fellini – A cinema greatmaster (Mediane, 2009), Una terribile eredità (Perdisa, 2009)

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