“Abbiamo appena eletto un Papa in gonnella!”. Scandalizzato per l’esito di quel conclave conclusosi dopo oltre un mese di votazioni, fra dispetti e veti incrociati, così il cardinale Bichi scrisse all’ambasciatore francese. Il suo, insieme a quello di un altro pugno di porporati, figurò fra i pochi voti contrari delle oltre 50 schede che, all’alba del 15 settembre del 1644, sancirono l’elezione al soglio di Pietro del cardinale Giovanni Battista Pamphilij col nome di papa Innocenzo X. A far capitolare la fazione filo-francese capeggiata dal cardinale Antonio Barberini, contrarissimo al Pamphilij considerato troppo amico della Spagna, pesò in maniera determinante l’intervento di Donna Olimpia Maidalchini, cognata di quest’ultimo. Servendosi di “pizzini” nascosti nei timballi di carne che i camerieri servivano ai cardinali per il pranzo, Olimpia propose al Barberini di unire in matrimonio sua nipote Lucrezia col figlio di lei Camillo, in cambio del voto favorevole al Pamphilij. L’”habemus Papam” scaturito da quell’accordo sottobanco consentì a una donna, per la prima volta nella bimillenaria storia della Chiesa romana, di esercitare de facto il potere pontificale, vista la grande influenza esercitata da Olimpia sull’anziano parente. Nata a Viterbo il 26 maggio del 1592 da un funzionario della Dogana pontificia convinto (come quasi tutti ai suoi tempi) che in origine gli embrioni umani fossero tutti maschi e solo per qualche bizzarria della natura in certi casi diventassero femmine, sorprendendo il genitore fin da bambina cominciò a comandare dando ordini anche a bambini più grandi di lei. Sedicenne fu data in sposa a un uomo molto più vecchio di lei, che dopo soli tre anni la lasciò felicemente vedova con un mucchio di quattrini. Nel 1612 convolò a nuove nozze con Pamphilio Pamphilij, povero di sostanze ma ricco di blasone perché appartenente a una delle famiglie più in vista dell’aristocrazia romana. Trasferitasi nel bel palazzo di piazza Navona, Olimpia ne divenne la regina. Qui, allietato dalla nascita di due figlie e del tanto agognato erede maschio, il ménage matrimoniale andò avanti di pari passo con l’ascesa in campo ecclesiastico del cognato Giovanni Battista, nel frattempo creato cardinale, col quale Olimpia rinsaldò la frequentazione dopo essere rimasta per la seconda volta vedova nel 1639. Il papato d’Innocenzo X si aprì così sotto il segno di Donna Olimpia, che ebbe accesso incondizionato ai suoi appartamenti e iniziò a tenere l’agenda del Papa, decidendo in solitaria chi potesse conferire con lui. Pertanto diplomatici, questuanti e alti prelati, se volevano ottenere qualcosa dal Pontefice, dovevano prima passare dalla “papessa”, ovviamente ricompensandola per il disturbo. Il 1650 fu l’anno che la vide toccare l’apogeo del potere, quando a fianco del cognato presenziò al rito d’apertura della porta santa in occasione del Giubileo. Poco dopo per lei iniziarono i guai anche in conseguenza della “guerra delle due Olimpie”, che la vide fieramente opposta, fra scandali e chiacchiericci di ogni genere, ad Olimpia Aldobrandini, sua nuora. A lei, diventata la “Pimpaccia” delle pasquinate, iniziarono ad essere addebitati tutti i mali di Roma, anche quelli in cui non c’entrava per niente, col risultato di farne la donna più odiata della città. Quando alla morte del cognato, nel 1655 fu eletto Papa Alessandro VII, il primo provvedimento del novello pontefice consisté nell’ordinarle di ritirarsi nel suo feudo viterbese, dove la peste la fece calare nella tomba il 27 settembre del 1657. Accompagna questo scritto il “Busto di Donna Olimpia Maidalchini”, di Alessandro Algardi, 1650, Galleria Doria-Pamphilij, Roma.Sailko, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons. Navigazione articoli UN MARCHIGIANO ALLA CORTE DEI MING SAURO IN RADIO: COME È NATO IL FASCISMO
Non fu la prima volta che una donna comandò in Vaticano. All’inizio del X secolo Marozia dei conti di Tuscolo fu amante, madre ed antenata di diversi papi. Rispondi