Nel 1994 una casa editrice romana, la Fenix, oltre a coltivare il revival del fumetto dell’orrore con serie effimere come Demon Hunter e Dick Drago, lanciò un volume che probabilmente a molti apparve una truffa bella e buona.
L’albo, incellofanato, attribuito come autore a un tal Robert Rambaut, con titolo “Fumetti sporchi” e sottotitolo “I fumetti per adulti che hanno scandalizzato il mondo”, sembrava suggerire chissà che cosa, anche grazie a una copertina dal tratto sgraziato ma certamente “moderna”. Invece il materiale interno era costituito da fumetti vecchi di sessant’anni, pessimamente disegnati, in bianco e nero, con traduzioni approssimative e un brutto lettering elettronico. Di che cosa si trattava? Facciamo un passo indietro.

Negli anni trenta del Novecento i fumetti erano un genere tutto sommato rispettabile. I comic book erano ancora pochissimi e i fumetti venivano stampati sui quotidiani, come strisce giornaliere o tavole domenicali. I personaggi famosi erano Popeye, Flash Gordon, Mandrake, Joe Palooka, i disneiani e decine di altri.
Rivolti a un amplissimo pubblico, ben disegnati, questi fumetti erano conditi da buone dosi di umorismo e di avventura: i temi e le ambientazioni erano le più svariate, ma un elemento non poteva proprio essere presente: l’erotismo. E come sarebbe stato possibile? Le strip erano lette potenzialmente da tutti i lettori dei quotidiani, impossibile istituire censure o produrre materiale, come si sarebbe detto poi, “for mature readers”.
D’altronde il puritanesimo americano e la censura avrebbero reso estremamente problematica qualsiasi innovazione in tal senso. Nacquero allora i “dirty comics”. Erano albetti per lo più di otto pagine, di formato tascabile, mal disegnati e mal stampati, facili però da smerciare clandestinamente e da far passare di mano in mano. Contenevano storielline che potremmo definire francamente pornografiche, con diversi tipi di protagonisti: spesso parodie di eroi del fumetto realmente esistenti (sfruttatissimi Popeye, Blondie, Betty Boop), ma anche personaggi creati ex‑novo o tratti dalla cronaca politica: addirittura il Mahatma Ghandi, senza che manchi un certo Mussolini. Tutti immersi in avventure dichiaratamente e allegramente hard, dove il piacere fisico è spogliato da ogni artificio e da ogni raffinatezza letteraria, ed esplode selvaggio e anarchico approfittando di ogni situazione utile.

DIRTY COMICS DIRTY COMICS DIRTY COMICS

Per anni poco studiati dalla storiografia ufficiale del fumetto, i “Dirty comics”, detti in America “Tijuana Bible”, di cui non si conoscono né autori, né stampatori, né esatta data di realizzazione, hanno avuto comunque un ruolo nella storia del costume; sia per aver costituito un primo esempio di fumetto underground (per quanto sia scorretto riferire agli anni trenta un concetto maturato per lo più nei sessanta), cioè alternativo nella tecnica di realizzazione e nella distribuzione; sia per aver infranto un tabù, proponendo materiale che per il suo carattere esplicito “necessitava” ancora negli anni novanta, nella versione stampata dalla Fenix, di essere vietato ai minori di 18 anni.

Ma erano poi davvero volgari? A leggerli oggi, appaiono più che altro umoristici nella loro semplicità. Le trame sono meri pretesti, i personaggi inesistenti sul piano psicologico. Come sempre accade, quando si spinge troppo su un pedale si finisce nel cadere nel comico (come accade anche nel genere horror, pronto a diventare parodia di sé stesso quando il sangue scorre a litri o gli effettacci trascendono il limite della logica).
Tutto è molto allegro e spensierato, del tutto irrealistico. Il venditore di aspirapolveri bussa alla porta della casalinga e alla seconda vignetta i due sono già intenti a fraternizzare; il pompiere o l’idraulico salvano la padrona di casa in difficoltà, che è ben lieta di offrire una immediata “ricompensa”; ma il vero eroe sembra essere Popeye, il nostro Braccio di Ferro, cui giova evidentemente la istintiva affinità tra la forza da marinaio dei suoi arti superiori e altre forme di vigore fisico.

Dal punto di vista editoriale, la Fenix non fu la prima editrice a tradurre in italiano una antologia di questi fumetti; lo aveva già fatto la Savelli nel 1976, in un volume ­che ne presentava una scelta più ricca e con un apparato introduttivo assai maggiore (va ricordato che la Savelli, casa editrice a forte impronta politica, pubblicò negli anni settanta diverso materiale interessante per gli appassionati di fumetti; tra cui un “Foemina Comix‑Antologia di fumetti femministi americani”, che a sua volta non disdegnava di mostrare immagini a rischio di censura).


Dopo una riproposizione un po’ approssimativa negli anni ottanta da parte della Tiger Press, casa editrice che pubblicava libri a fumetti con barzellette su Pierino o sui Carabinieri, nel 2001 fu la Hazard a proporre un volume dal titolo “Tijuana Bibles. Gli eroi dei comics americani nei vecchi fumetti fuorilegge 1930-1950”, a cura di G. D. Iachini, ben più curato del volume della Fenix e con un apparato critico utile a contestualizzare il materiale proposto. Peccato che il libro non includa la prefazione di Art Spiegelman, presente invece nell’edizione americana.

 

Forse l’omaggio più bello e più famoso ai “Dirty Comics” lo ha reso Alan Moore in quella moderna Bibbia del fumetto che è “Watchmen”. Qui Sally Jupiter, alias Silk Spectre, eroina degli anni quaranta, viene appunto immortalata in uno di questi albetti, dove si congiunge allegramente con una figura classica del genere: il già citato venditore ambulante di aspirapolvere. La scena, presente nel fumetto, si può vedere anche nel più recente film di Zack Snyder, del 2009.

Riflettendo oggi su questo materiale, si finisce inevitabilmente con l’incagliarsi sulle solite questioni. Realizzati per un pubblico evidentemente maschile, con la donna spesso in posizione sottomessa o interessata esclusivamente ad assecondare pulsioni dell’uomo, questi fumetti sono un accidente della storia (dei comics) che è bene aver superato? E i fumetti underground femministi che, decenni dopo, raffiguravano spesso scene altrettanto esplicite sul piano anatomico, erano davvero una rivoluzione, o in fondo si muovevano sullo stesso terreno? Chi li produceva intendeva in qualche modo affermare una forma di libertà (la “liberazione sessuale” propriamente detta sarebbe arrivata solo trent’anni dopo), o mirava solo a capitalizzare sui più bassi istinti umani? Ripubblicare oggi questo materiale sarebbe politicamente scorretto perché troppo maschilista, o politicamente scorretto perché troppo libertario in un’epoca in cui lo stesso concetto di libertà sembra in crisi?

In attesa di risposta a queste domande, per chi fosse interessato, tutti i libri citati, anche se fuori catalogo, si trovano facilmente nei siti di vendita dell’usato a prezzi abbordabili.

 

(Nell’immagine iniziale, un fotogramma del film “Watchmen” di Zack Snyder, 2009)

 

 

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