Tra i quattro film diretti da Carlo Vanzina e interpretati dal “terrunciello” Diego Abatantuono, Il ras del quartiere, del 1983, sembra quello tenuto in minore considerazione. (Tralasciamo i due iniziali con I gatti di vicolo Miracoli e il ritorno dell’accoppiata regista-attore nel 2006/2007 con Eccezzziunale veramente – Capitolo secondo… me e 2061 – Un anno eccezionale). L’uscita nelle sale, d’altra parte, non fece affluire masse di spettatori e confermò il declino precoce del comico, fatto registrare già l’anno precedente dagli scarsi incassi di Sballato, gasato, completamente fuso (del padre di Vanzina, cioè Steno) e Scusa se è poco (diretto da Marco Vicario). I produttori stavano tentando di sfruttare l’improvvisa popolarità del meridionale emigrato al Nord e diventato “milanese al ciento per ciento” facendogli girare nel 1982 ben sei film: intenzionati, insomma, a spremerlo con la stessa ingordigia mostrata in precedenza nei confronti di Totò e Franchi e Ingrassia. Tutto ciò spinse lo stesso Abatantuono a prendere le distanze dal personaggio e ad allontanarsi dal cinema per qualche anno. Comunque, al di là del flop al botteghino e dell’interesse limitato che raccoglie tra gli aficionados e gli studiosi vanziniani, Il ras del quartiere qualche freccia al proprio arco ce l’ha. Se nei titoli precedenti diretti da Vanzina, I fichissimi (del 1981), Eccezzziunale… veramente e Viuuulentemente… mia, entrambi del 1982, Abatantuono poteva contare su co-protagonisti come Jerry Calà (nel primo), Stefania Sandrelli (in un episodio del secondo) e Laura Antonelli, Il ras del quartiere poggia quasi completamente sulle sue spalle. Certo, la partner femminile ha il viso e le gambe di Isabella Ferrari, lanciata cinematograficamente qualche mese prima proprio da Vanzina in Sapore di mare, però la giovane e ancora acerba attrice compare dopo più di cinquanta minuti. Vanzina prova a fondere la comicità di Abatantuono con i generi che in quel periodo andavano per la maggiore (in particolare come tendenza artistica): il noir investigativo e il giovanilistico metropolitano, ovviamente notturno. Il riferimento principale, fin dalla sequenza su cui scorrono i titoli di testa, è I guerrieri della notte (The Warriors, 1979), di Walter Hill. Ma non manca una strizzata d’occhio a 1997: Fuga da New York (Escape from New York, 1981), di John Carpenter. Il padre che cerca la figlia adolescente viene dall’ottimo Hardcore (1979), di Paul Schrader, mentre la voce narrante del protagonista che batte la metropoli milanese per trovare la ragazza è tipica delle detective stories alla Chandler e alla Hammett. D’altronde già in Viuuulentemente… mia Abatantuono interpreta il maldestro agente di polizia Achille Cotone e sin dagli inizi della carriera Carlo Vanzina e il fratello sceneggiatore Enrico si occupano anche di vicende thriller e poliziesche (sempre nel 1983 esce Mystère), tanto che per comporre le musiche di Il Ras del quartiere utilizzano addirittura la band argentiana dei Goblin. Vanzina ha ereditato la passione per il mistery certamente dal padre. Steno, infatti, ha diretto numerosi commedie e film comici con poliziotti e criminali assortiti. Da Guardie e ladri a Totò contro i quattro, da Piedone lo sbirro a Doppio delitto. Oltre naturalmente ad aver in pratica dato il via al genere tutto italiano, il cosiddetto “poliziottesco”, con La polizia ringrazia, del 1974. Il limite di Il ras del quartiere non è tanto nelle carenze registiche e di sceneggiatura, che anzi come capita spesso nel migliore/peggiore cinema italiano finiscono per accrescerne il fascino. Per di più va sottolineato il fatto che per esempio le prime scene, che vedono il ragioniere Tarcisio Gatti (interpretato da Lino Troisi) disperarsi per la scomparsa della figlia, non sono affatto girate male. Non è un difetto nemmeno lo spunto poco originale, poiché l’idea di far diventare un comico investigatore privato in Italia era già venuta ad altri registi prima di Vanzina: Camillo Mastrocinque (Totò, Vittorio e la dottoressa), Oscar Brazzi (Il gatto di Brooklyn aspirante detective, con Franco Franchi) e Bruno Corbucci (Agenzia Riccardo Finzi… praticamente detective, con Renato Pozzetto). Senza dimenticare l’irresistibile Macario scappato dal manicomio che si fa passare per detective nel già citato Totò contro i quattro. Casomai la pecca del film risiede nel voler mettere in scena personaggi proletari o ribelli e poi, secondo la più classica morale vanziniana, celebrare la famiglia e l’agiata vita borghese. Alla faccia dei presunti modelli ispiratori: gli anarchismi crepuscolari e disillusi di Walter Hill e Carpenter. Va detto che, nel corso del film, in due occasioni viene citato non a caso Pinocchio, visto che Collodi scrisse il suo celebre romanzo con un fine moralmente educativo. Tuttavia, poiché si tratta di un film comico, Il ras del quartiere ha pur sempre come punto di forza i momenti che vedono Diego Abatantuono impegnato in esilaranti duetti con i vari comprimari. In quelli con Lino Troisi e Isabella Ferrari, Abatantuono è alle prese con interlocutori “seri”, che cioè non hanno un ruolo attivamente comico ma assumono la funzione di spettatori di fronte ai monologhi, linguisticamente fantasiosi, del terrunciello (e se si guarda bene si nota che Troisi fatica a trattenersi dal ridere). Diverso è il discorso per quel che riguarda altre scene. Dopo che il padre di Veronica, accompagnando a casa Domingo alias Ras che lo ha salvato da due teppisti, gli ha chiesto di aiutarlo a cercare sua figlia, il Ras nel cortile viene circondato dalla banda rivale, capeggiata da Orson. Questi vuole tre milioni per ripagare la moto che ha prestato a Domingo e che gli è stata rubata: gli dà tre giorni di tempo per trovare il denaro. Entrato nell’abitazione dove vive con gli zii e il fratellino Alex, trova il bambino ancora alzato nonostante siano le due di notte. Alex non riesce a dormire perché ha preoccupazioni da adulto (il bilancio familiare), parla anche lui come il Ras, guadagna dando lezioni private (ma, dice, “la cultura non paga”) e beve superalcolici. Dopo aver invano tentato di appropriarsi dei soldi che lo zio tiene nascosti nel materasso, il Ras accetta l’incarico del ragioniere chiedendo come compenso tre milioni. Una volta assunto, Domingo e la banda girano la città con la foto di Veronica chiedendo informazioni. Non ottenendo nulla, il Ras si reca nel liceo frequentato dalla ragazza. A questo punto assistiamo al primo, vero duetto comico del film. Ras chiede al bidello (interpretato dal bravo caratterista Gianni Cajafa) se conosce Veronica Gatti. Il bidello prima risponde negativamente, poi quando il Ras gli offre duemila lire per farlo parlare, dice: “Ahh, Gatti Veronica. E tu dici Veronica Gatti. Sì che la conosco. Cin-cin. Non conosco che lei, eh”. “Cin-cin, ascolta una cosa. Visto che la conosci, allora, dimmi a me, che tipo è?”. “È bona”. Il dialogo tra i due andrebbe riportato per intero, ma la battuta forse più significativa la pronuncia il Ras dopo che il bidello gli ha dato come notizia bomba il fatto che la ragazza sia scappata di casa. “Abitante del pianeta bidellide”, gli dice. È un riferimento alla fantascienza, che in quel periodo andava per la maggiore. Grazie anche ai tanti film di successo: l’anno prima era uscito E.T. – L’extraterrestre, di Steven Spielberg. Non è però l’unico ammiccamento al cinema fantascientifico. Poco dopo Domingo per proseguire le indagini si reca in un locale mal frequentato che “pareva il bar di Guerre stellari”. Qui conosce un batterista al quale distrugge involontariamente la batteria: si fa chiamare Jena e ha una benda sull’occhio. Citazione per nulla velata del film di Carpenter di cui sopra. Con Jena (che è Mauro Di Francesco, partner di Abatantuono anche in Attila, flagello di Dio) il Ras dà vita ad almeno altri due momenti comici memorabili. Nel primo, dopo essere sfuggiti a Orson e alla sua banda, Jena vuole dal Ras un milione e mezzo come risarcimento per la batteria distrutta. Dalla strada alla metropolitana (entrambi timbrano il biglietto, proprio come i componenti delle varie bande nella sequenza iniziale di I guerrieri della notte), Jena insiste per farsi dare i soldi mentre il Ras ripete che non ha una lira e cerca di sfuggirgli. Il dialogo è reso più colorito dallo strano gergo usato da Jena, che pronuncia molte parole al contrario per non farsi capire. Considerato che una delle caratteristiche del terrunciello di Abatantuono è quella di esprimersi con un linguaggio non sempre comprensibile, i duetti tra il Ras e Jena finiscono per essere una versione farsesca del tema dell’incomunicabilità. Nella seconda scena, il Ras e Jena (nel frattempo anch’egli assunto dal padre di Veronica) si recano al luna park con la Bmw nuova prestatagli dal ragioniere. Jena non chiude l’auto a chiave, sostenendo che nei telefilm americani i poliziotti non lo fanno mai. Naturalmente subito dopo l’auto viene rubata. L’eloquio del Ras è reso ancora più comico grazie ai rimandi alla cultura pop e giovanile (essendo gli adolescenti il pubblico di riferimento) dell’epoca con cui Abatantuono e Vanzina lo infarciscono. Non solo, come abbiamo visto, il cinema di fantascienza. Si va dai personaggi e programmi televisivi (Pippo Baudo, Domenica In, Portobello, Gino Bramieri) ai calciatori (Maradona, Beccalossi, Oriali). Dai telefilm (Starsky e Hutch, Kojak, Dallas) ai fumetti e cartoni animati (Superciuk, Willy il Coyote) ai cantanti (Bob Marley, Giorgio Gaber, Drupi) e canzoni. Non si può non riportare a tal proposito la geniale rivisitazione di un passaggio del brano di Franco Battiato Voglio vederti danzare: “E mi gira intorno tutta la stanza, cresce la panza”. Le battute con ammiccamenti extra-filmici non nascono certo con Il Ras del quartiere. Proprio Steno, per esempio, in un film degli anni Sessanta (Arriva Dorellik) riuscì a inserire un riferimento al carosello su un formaggino che aveva appena girato. Tuttavia i dialoghi messi in bocca ad Abatantuono vanno quantitativamente ben oltre, tanto da approfittare di un “boh” pronunciato dal ragioniere per far dire al Ras: “Bo Derek?”. Gli anni Ottanta del resto hanno sancito in maniera definitiva che il cinema non poteva più bastare a se stesso e che doveva per forza di cose pescare in altri ambiti (musica, televisione, pubblicità, fumetti) per continuare a coinvolgere il pubblico. Con risultati che, peraltro, non sempre venivano apprezzati. Navigazione articoli PADANIA HORROR, LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO HITLER AMMIRATORE DI TOPOLINO
Bel commento! Fa piacere che si prendano in considerazione film che pur non rappresentando dei capolavori sono comunque espressione di creatività e di conoscenza della cinematografia. Ho avuto il piacere di conoscere personalmente Enrico Vanzina: è stato presidente della giuria del premio per giovani soggettisti intitolato a Luciano Vincenzoni che si tiene a Treviso da otto anni. La cultura cinematografica dei fratelli Vanzina è indiscutibile. I loro prodotti sono discutibili nel senso che devono generare discussione; è proprio quello che ogni opera artistica deve generare. Rispondi