Il Vittorioso è uno dei pochissimi settimanali di fumetti che riesce a resistere con il suo grande formato nel dopoguerra, quando si afferma rapidamente il più economico formato striscia in bianco e nero. E Sebastiano Craveri, “padre fondatore” del Vittorioso, cosa fa, tra il 1950 e il 1951? Nei dieci anni in cui sulle pagine del settimanale letteralmente esplode il talento del giovanissimo Benito Jacovitti, il suo ruolo diventa sempre più quello di un outsider: un peccato, perché se è vero che Jac è un genio del fumetto, le poetiche, delicate storie di Zoolandia sono piccole opere d’arte che avrebbero meritato, allora, assai miglior sorte, e certamente la meriterebbero adesso. Il malinconico destino di Craveri Nel dopoguerra soffia un vento decisamente più spietato rispetto a quello di pochi anni prima, ovviamente mi riferisco all’aria che si respira sui giornalini. Servono cose più immediate, con toni e colori più decisi. E proprio del colore viene privato Craveri, relegato, con la splendida storia Il Re gobbo, in una pagina interna del giornale. L’episodio esordisce nello splendore della tricromia, ma passa subito a una malinconica stampa a mezzi toni. Anche il formato della tavola viene spietatamente ridotto, ed è francamente difficile, in pagine sempre più spartane (e disegnate un po’ più sbrigativamente, si capisce) cogliere appieno l’arte di Craveri. La sorte editoriale di Craveri, che si isola sempre più nella sua pedemontana Carmagnola (ai confini di Torino), mentre Jacovitti è ormai stabile a Roma, a stretto contatto con la redazione del Vitt, è ancora altalenante all’inizio degli anni cinquanta. D’altra parte Jacovitti, il nuovo re, ha sinceri sentimenti di riconoscenza e di affetto nei confronti dell’anziano monarca: lo dimostrerà del resto vent’anni dopo, quando aiuterà Craveri e la famiglia nei giorni più tristi. Un paio di storie, o poco più, vengono ancora impaginate in grande formato e a colori. Ancora “censure” Proprio di censure non si tratta, come dicevo, ma di… pressanti consigli. E non fosse altro che per inquadrare, contestualizzare, il fumetto e il periodo storico di cui ci stiamo occupando, metto alcune pagine di opuscolo pubblicato dalla casa editrice de Il Vittorioso intitolato “Mammina me lo compri?”, analogo al “manifesto” pubblicato a quello dell’articolo precedente su questo settimanale. Un paio di osservazioni: questo opuscolo è molto più documentato, ogni voce dei fumetti “esclusi” (praticamente tutti!) è ben ragionata. La stampa “raccomandabile” è ovviamente solo quella cattolica, ma stavolta Topolino è passato tra i “leggibili”… La “devianza” di Franco Caprioli L’opuscolo qui sopra non deve metterci fuori strada: una cosa erano gli intenti censori delle autorità religiose a capo dell’editrice Ave, che pubblicava Il Vittorioso, un’altra era la volontà di adeguarvisi della redazione, un’altra ancora quella degli autori. Se gli anonimi redattori di Mammina me lo compri? e del manifesto Indicatore della stampa per ragazzi avessero studiato attentamente i contenuti delle storie a fumetti di Jacovitti, di Craveri, di Caesar, sotto una facciata certamente ortodossa avrebbero trovato moltissime “devianze” dalla morale imposta. Molti autori erano assai critici, personalmente, nei confronti dei paletti imposti dalla catena di comando sopra accennata, e non perdevano occasione per far passare qualcosa fra le righe. Un grande maestro appartenente alla suddetta categoria dei devianti, sempre coraggiosamente critico e ribelle alle imposizioni, è Franco Caprioli. Abbiamo già visto alcune delle sue opere precedenti (è tra i fondatori del settimanale, anche se con lunghi periodi di sospensione), ma dopo la chiusura di Topolino e degli altri giornali classici di grande formato, il Vittorioso è tra le sue poche fonti di reddito. E perciò si impegna moltissimo in alcuni adattamenti, quasi tutti scritti da Rudolph, di classici letterari. Nel 1950, la sua opera più affascinante è senz’altro L’ussaro della morte, annunciato da una copertina speciale. Caprioli fa uso, evidentemente, di fotografie e di documentazione di prima mano. Ma la cosa più affascinante è l’aspetto crepuscolare della sua opera, con suggestioni macabre che rimandano a suoi disegni inediti degli anni precedenti, riprodotti in varie monografie, come il saggio di Brunoro-Caprioli. Niente male, eh? C’è anche un rappresentante dei suoi… datori di lavoro. E l’anno è addirittura il 1941! L’immagine è tratta dal testo che segue, un raro fascicolo, illustratissimo, edito nel 1984. Termino con la copertina del bel saggio di Luigi Bernardi e Paolo Ferriani, edito nel 1988, terza (e ultima) voce della striminzita bibliografia del Maestro di Mompeo. Giorgio Bellavitis, Giovanni De Luca e gli altri Giorgio Bellavitis fu partigiano, amico e sodale di Hugo Pratt ai tempi eroici dell’Asso di Picche, e poi collaboratore prezioso del Vittorioso. Un autore di talento negli anni quaranta e cinquanta, che poi aveva lasciato la nona arte per dedicarsi con passione e grande successo personale alla sua professione di architetto: viveva nella sua dolce Venezia e forse considerava il fumetto solo una parentesi secondaria di una vita piena di cose più “serie”. Qui mi preme ricordare che la critica di fumetti non ha mai speso un rigo su di lui. Con una sola eccezione: un bellissimo articolo di Claudio Dell’Orso, con intervista, apparso sul numero 13 della dimenticatissima prozine “Nostalgia Comics”, diretta nei primi anni ottanta da Luciano La Spisa, insieme a una pregevole ristampa del suo episodio di esordio. Nostalgia Comics chiuse presto perché troppo indipendente, intelligente e raffinata: si sa come vanno queste cose. Nel 1950, su soggetto di De Barba, Giorgio Bellavitis disegna per Il Vittorioso il suo primo “cineromanzo”, I cavalieri del corvo, di ambiente medievaleggiante (come gran parte della sua produzione successiva). Ma la star del Vittorioso, in questo periodo, sullo stesso piano di popolarità di Jacovitti e Caprioli, è senz’altro Giovanni De Luca. Con la sua produzione del 1950-51, raggiunge un primo apice della sua innovativa arte grafica. Un ottimo esempio è L’impero del Sole, solo apparentemente un pastiche azteco-atlantideo, e comunque i luoghi comuni che affronta, insieme all’onnipresente sceneggiatore Roudolph, anticipano di cinquant’anni gli abusatissimi temi cinematografici d’oggidì. La sfinge nera si basa quasi esclusivamente sulle suggestioni scenografiche, quasi da quinte teatrali, di De Luca: molti anni dopo, sul Giornalino, vedremo gli estremi sviluppi di questa particolare (e assai originale) visione dello spazio scenico da parte di De Luca. Solo apparentemente più convenzionale, ma ricercatissima dal lato puramente pittorico, è la lunga storia Il tempio delle genti, pubblicata a fine 1950: notate l’uso del chiaroscuro, che spesso De Luca abbandonerà in favore di una sua originale “linea chiara” e poi di un pointillisme affine a quello di Caprioli, ma risolto in chiave espressionista invece che naturalistica.Nell’autunno del 1950, Il Vittorioso aumenta il numero delle pagine e modifica l’impostazione della copertina. Scompare la storia a puntate in prima pagina, impostazione dei classici “giornali” fino al 1949: al suo posto c’è una grande illustrazione sullo stile del franco-belga Tintin, a cui il settimanale cattolico evidentemente si rifà, almeno dal lato grafico. Il Vittorioso si avvia a trasformarsi in “rivista”, percorso che arriverà a compimento negli anni sessanta. Parallelamente, stessa evoluzione avrà il Corriere dei Piccoli. I “minori”: Ruggero Giovannini, Gino D’Antonio e Renato Polese Su un piano decisamente inferiore ai maestri finora esaminati, ma sempre di altissimo artigianato, è l’opera di Ruggero Giovannini. Nel 1950, con Il leone di San Marco, su testi di De Barba, è a un livello grafico di tutto rispetto, con un uso del chiaroscuro ispirato, più che dalla scuola americana di Milton Caniff ed epigoni, ai grandi maestri italiani dell’anteguerra e dell’immediato dopoguerra. La lezione del suddetto maestro americano, e anche quella del suo emulo Frank Robbins, si svela invece prepotente nel 1952 in una storia del tutto particolare, Un uomo contro il mare. Ricordate i “fumetti verità” del Corriere dei Ragazzi nella prima metà degli anni settanta? Quest’opera, su soggetto di Piero Salvatico (che Perogatt diceva fosse anche l’autore della Posta Vitt) ne è un’antesignana. L’idea di utilizzare il Fumetto non solo come mezzo di intrattenimento (o forma d’arte fine a se stessa), ma anche come forma di giornalismo visuale, era nel 1952 decisamente precorritrice. Giovannini contribuisce con un segno di grande realismo decisamente degno della syndication americana del periodo. Interessante, soprattutto sul versante grafico, è La terra dell’oro, su testo di Eros Belloni e disegni di Guerri (Alberto o Mario?). Sorprendente, per l’originalità grafica e per l’ambientazione sarda assai realistica, la storia Il bosco di nessuno, su testi di Eros Belloni e disegni di Carlo Boscarato. Mi pare che meriti un attimo più di attenzione. Dotato di uno stile decisamente personale, fra questi minori del Vittorioso (“minori” forse allora, fra tanti giganti: oggi sarebbero tutti primi della classe) è Gino D’Antonio, che sarà attivissimo in seguito e certo non solo sul Vitt. Per Renato Polese, anche lui prolificissimo autore degli anni cinquanta (e sessanta) ci viene in aiuto una scheda pubblicata proprio sul Vittorioso, che anche nel dare dignità autoriale ai propri collaboratori dimostra in questo periodo una notevole sensibilità. A proposito: non ho ancora citato il sito degli Amici del Vittorioso, che contiene molte informazioni utili. Rimedio adesso. Le copertine di Kurt Caesar Vi propongo una spettacolare galleria di copertine del Vittorioso del 1952, opera del grande Kurt Caesar. Pubblico anche la curiosa scheda biografica apparsa sul settimanale proprio quell’anno. Per informazioni più attuali su Caesar, rimando di nuovo alla voce di Wikipedia. L’anonimo estensore della scheda, a proposito delle copertine di Urania che Caesar realizza nello stesso periodo, parla di un “ineguagliato e riconoscibilissimo senso cromatico”, apprezzamento che condivido in pieno. Belle, eh? Che dire poi della variante italico-cattolica del “realismo socialista”, specie nell’ultima?… In altre c’è un’eco prepotente dei lavori di Caesar del periodo bellico e dell’immediato anteguerra. Lino Landolfi e Il Vittorioso La vera novità, a cavallo tra il 1951 e il 1952, è l’arrivo di Lino Landolfi, autore che in qualche modo prenderà il posto di Sebastiano Craveri. Devo confessare che le prime prove di Landolfi sul Vittorioso appaiono piuttosto fredde, ma è indubbiamente solo un’opinione personale. Lino Landolfi, oltretutto, conoscerà, un decennio e rotti dopo, un momento davvero splendido, culminato con una fantasiosa (e visionaria) versione del Don Chisciotte, pubblicata prima sul Vitt e poi in volume dalla Comic Art. Un piccolo gioiello è poi la realistica epopea quotidiana (una proto-sitcom) de La famiglia Bertolini, pubblicata sul Messaggero dei Ragazzi negli anni Sessanta, e raccolta in un raro volume delle edizioni Paoline. Inoltre merita almeno una menzione il lungo ciclo di avventure di Piccolo Dente, pubblicato sul Giornalino negli anni settanta. Ma quel che ci interessa in questa sede è il suo inizio di carriera sul Vittorioso, tra il 1951 e il 1952. È in questi anni che Landolfi dà vita al personaggio di Procopio, che poi sarà per decenni una specie di fil rouge, in viaggio nel tempo e nello spazio, apparendo anche come una sorta di “testimonial” in storie fra le più diverse per temi e ambientazioni.Nel luglio del 1951, annunciato con gran pompa, inizia la pubblicazione di Joe, l’eroe del West. Il segno è improntato a una stilizzazione tipica di certo disegno animato che fa capo allo studio Pagot. Landolfi pesca allegramente nell’immaginario collettivo dell’epoca, e appare come “partecipazione straordinaria” anche Pecos Bill di Martina/Paparella e soci, che in quel 1952 vive il suo momento più bello e fortunato. Il personaggio di Joe, ovvero il pre-Procopio, si sposta con grande prevedibilità sul poliziesco con la storia successiva, che avrà in seguito anche il grande onore dell’ultima pagina, a colori, spodestando Craveri e approfittando della strana latitanza di Jacovitti. Curioso il personaggio del vecchietto Blick: ha una vaga somiglianza con Asterix, oppure è una mia impressione? Tramontato Craveri e alzatosi il nuovo astro Landolfi, Il Vittorioso dei primi anni cinquanta sta offrendo il meglio di sé. (Prossimamente torneremo ancora su Il Vittorioso. Nel frattempo potete leggere QUI gli articoli di Giornale POP dedicati ai fumetti pubblicati in Italia negli anni trenta e quaranta). Navigazione articoli MATITE BLU 146 L’INFLUENZA DELLA MITOLOGIA GIAPPONESE NEI MEDIA
Leonardo Gori è molto bravo a presentare uno scenario assai complesso e dilatato nel tempo con chiarezza, usando un linguaggio appositamente semplice e piano, frutto -secondo me- di un lungo lavoro sulla struttura dei suoi romanzi per i quali ha evìdentemente sentito nel corso di una ricerca tecnico espressiva sulla narratività, durato quasi venti anni, il bisogno di potare i fronzoli: una ricerca di linguaggio legato alla esigenze della lettura nella contemporaneità. Questo è solo quando penso io, poi chissà, come staranno le cose. Comunque alcuni problemi specifici, quali la parabola di Craveri e il lavoro di FRanco Caprioli, indissolubili dal loro contesto di appartenenenza e dalle complesse personalità dei due artisti appena citati, sono state oggetto di passati interventi che hanno evidenziato, a parere del sottoscritto, la lotta del diritto all’espressività degli artisti lentamente travolta dalle forze umane della società poco propensa a tener conto dei valorii ndividuali, sacrificabili di fronte a questa o quella idiologia del potere connesso ai dogmi della religione /politica e del denaro. Rispondi