La rivista Corto Maltese, legata al celebre personaggio creato da Hugo Pratt, nasce nel 1983 con l’obiettivo di raccogliere e presentare le storie del personaggio, sia inedite sia ripubblicate, insieme ad altri fumetti d’avventura, articoli, interviste e approfondimenti. Tenta quindi di aggiornare in qualche modo, adattandolo ai tempi e a un pubblico maturo, il genere avventuroso che aveva fatto la fortuna del Corriere dei Piccoli negli anni sessanta. L’operazione, che in quegli anni era riuscita al cinema con film come I predatori dell’arca perduta, non riesce con il fumetto, che in questo caso confeziona opere pretenziose e intellettualistiche. Di seguito ricordiamo i momenti migliori della rivista, omettendo completamente l’ultima fase con il tentativo di sfruttare, fuori contesto, i capolavori del fumetto americano di supereroi della seconda metà degli anni ottanta. N. 1 Il primo numero della nuova rivista dedicata a Corto Maltese parte col botto, presentando tre storie che dalle premesse si prospettano come possibili capolavori del fumetto, ma vedremo come solo una manterrà le promesse. La casa dorata di Samarcanda La casa dorata di Samarcanda è un’opera di Hugo Pratt che ha suscitato opinioni contrastanti tra i lettori e i critici, soprattutto riguardo alla sua lunghezza e alla sua struttura. Da sempre c’è chi dice che il vero Corto Maltese è quello delle storie brevi, dove l’equilibrio tra azione e introspezione raggiunge la perfezione. Mentre le storie più lunghe, a parte la felice eccezione della “Ballata”, hanno sempre avuto più di un detrattore. Sono opere che si sviluppano su più livelli narrativi, con numerosi personaggi, ambientazioni esotiche e intrecci complicati che alla fine le fanno apparire dispersive. Qui l’intreccio delle sottotrame e dei vari protagonisti (tra cui spicca il mitico Rasputin) si sviluppa in modo piuttosto articolato, e la narrazione risulta lunga o addirittura “infinita” a chi preferisce una trama lineare o concentrata sull’azione. Molti lettori e critici hanno notato che la narrazione di La casa dorata di Samarcanda tende a rallentare in alcuni punti, con momenti di stasi dove la riflessione e la contemplazione prevalgono sull’azione. Questo approccio, tipico di Pratt, è sempre stato parte integrante del suo stile, ma qui si ha la sensazione che non ci sia il solito equilibrio tra momenti statici e quelli dinamici della storia, che finisce per concentrarsi troppo sulle relazioni interpersonali, sulle dinamiche psicologiche e sul contesto storico a scapito del fluire degli eventi. Tutto ricominciò con un estate indiana Tutto ricominciò con un’estate indiana di Milo Manara e Hugo Pratt era stata concepita per diventare una delle opere più significative di entrambi gli autori, ma ne è uscita una storia che ha diviso i lettori, in particolare per la sua struttura e per il tipo di coinvolgimento che suscita. Pratt alla sceneggiatura e Manara ai disegni sembravano delle garanzie assolute e le aspettative erano comprensibilmente molto elevate. Alla fine la montagna ha partorito un topolino. Pratt si è lasciato influenzare dalla presenza di Manara e ha inserito il tema della sensualità e della passione. La sensualità però non riesce mai a diventare parte integrante della storia, rimane un elemento estraneo. Sembra frenare lo sviluppo degli eventi. Alla fine questa storia non è né carne né pesce. Non è un racconto d’avventura, poiché la trama non è immediata e può sembrare poco dinamica, non è un racconto erotico perché l’erotismo non è una delle frecce nell’arco di Pratt. È un ibrido mal riuscito che non riesce a accontentare né gli appassionati di avventura né quelli di erotismo. Rimane una splendida occasione mancata. Finzioni Pur avendo in fondo poco a che fare con l’avventura, Finzioni di Andrea Pazienza e Marcello D’Angelo è il vero capolavoro di questo primo numero. È un opera che a dispetto della brevità ha molte ambizioni. Il sottotitolo potrebbe essere “La forza del destino” e riuscirebbe a rappresentare in pieno quella miscela di autobiografia, introspezione psicologica e filosofia dell’esistenza che caratterizzava le opere più riuscite del maestro di San Severo. In quest’opera, Pazienza non solo racconta le vicende di uno dei suoi alter ego, ma si confronta anche con il destino, il caos e la ricerca del significato della vita. La storia suggerisce un intreccio di eventi che non si svolgono per caso, ma seguono una sorta di necessità drammatica, anche se il destino in quest’opera è qualcosa di ambiguo e sfuggente. Il protagonista è un uomo che, come Pazienza, vive una vita turbolenta, tra gli eccessi della gioventù, la ricerca di un senso e il confronto con il proprio vuoto esistenziale. Nella narrazione, il protagonista sembra essere intrappolato in un destino che non può evitare, segnato dal caos e dalla confusione delle proprie scelte. Ne esce una raffigurazione della condizione umana, caratterizzata da incertezza, imprevedibilità e incomprensione delle forze che ci plasmano. N. 2 Il segno di una resa invincibile Secondo numero e secondo capolavoro di Andrea Pazienza e Marcello D’Angelo: Il segno di una resa invincibile. La resa di cui si parla non è la sottomissione passiva o la rinuncia all’esistenza, ma una sorta di accettazione consapevole della vulnerabilità umana e delle forze che sfuggono al nostro controllo. La “resa” qui è invincibile nel senso che, una volta accettata, non c’è più nulla che possa sopraffarla. Il protagonista di questa storia si trova a fare i conti con una vita che non si sviluppa come desiderato, con le illusioni spezzate, la delusione e la difficoltà di trovare un senso in un mondo che appare spesso senza scopo. Pazienza, in questo fumetto, propone una visione della vita come un susseguirsi di contraddizioni, frustrazioni e imprevisti, dove l’uomo è destinato a confrontarsi continuamente con il proprio destino, le proprie scelte e la propria incapacità di trovare risposte assolute. Nel fumetto, Pazienza non si limita a esplorare la fragilità psicologica del protagonista, ma anche la difficoltà di trovare un senso nella vita attraverso le relazioni, il desiderio, la solitudine. I dialoghi tra i personaggi sono spesso carichi di inquietudine, con una sensazione di mancanza di risposte e di fallimento che permea l’intera storia. Dracula Il Dracula di Guido Crepax è l’adattamento del celebre romanzo di Bram Stoker, ma la sua ricezione è stata piuttosto contraddittoria. Mentre alcuni lo considerano un capolavoro visivo e un esempio di come il fumetto possa elevare la letteratura, altri lo trovano noioso o difficile da apprezzare a causa del suo ritmo lento e della struttura narrativa deliberatamente introspettiva. Crepax ha scelto di adattare Dracula quasi fosse un nuovo capitolo della saga di Valentina, usando tutti quegli stratagemmi che avevano fatto della bella fotografa un’icona del fumetto. Cepax si è concentrato non tanto sull’azione e sull’orrore, ma sull’approfondimento psicologico dei personaggi e sulle tensioni emotive e sessuali, dando vita ad un Dracula che non è solo il classico mostro delle leggende, ma anche un personaggio carico di seduzione e intrigante ambiguità. Possiamo tranquillamente affermare che questo tipo di approccio non è stato capito fino in fondo, avrebbe avuto bisogno di lettori molto pazienti, disposti a immergersi nelle sfumature psicologiche della trama e a decifrare i significati nascosti nelle immagini e nei dialoghi. N. 8 Lupi I primi venti numeri di Corto Maltese sono caratterizzati dalla presenza di due storie molto lunghe e frammentate come La casa dorata di Samarcanda e Tutto ricominciò con una estate indiana, alternate a storie autoconclusive e brevi solitamente disegnate da Andrea Pazienza. Una delle più belle del n. 8 si intitola Lupi. Lupi segna un punto di non ritorno nell’evoluzione del personaggio di Zanardi, che qui appare quasi una personificazione del male assoluto. In Lupi la protagonista indiscussa è la vendetta, vista non solo come un atto di punizione nei confronti di un torto subito, ma come motivo di esistenza. Pazienza fa emergere l’idea che, quando qualcuno è consumato da un odio irrefrenabile, la vendetta può diventare il motore principale della vita stessa. In questo diventa ossessione e fissazione, assumendo contorni e significati che potremmo definire poetici. La vendetta diventa una sorta di identità, di spinta esistenziale, una ragione per andare avanti, una forza che alimenta la vita dei personaggi anche quando tutto intorno a loro sembra essere ridotto in rovina. La fine della collaborazione di Andrea Pazienza Arrivati a questo punto, dopo aver donato alla rivista alcune delle sue storie migliori, Andrea Pazienza cessa di collaborare con Corto Maltese per una serie di motivi legati alla sua vita personale, alla sua visione artistica e alle dinamiche professionali che stavano evolvendo in quel periodo. Pazienza, come molti altri artisti del suo calibro, aveva una visione molto personale del fumetto come forma d’arte. A un certo punto, probabilmente si sentì limitato dal modello commerciale che stava prendendo piede nella rivista. Corto Maltese era concepita come una rivista mainstream di alto livello dove si respirava una crescente pressione a produrre contenuti per un pubblico di massa. Pazienza si trovò spinto a considerare che questo contesto non fosse più in sintonia con il suo crescente desiderio di libertà creativa. La rivista Corto Maltese, inoltre, si stava sempre di più sviluppando attorno al mondo di Hugo Pratt, fatto di viaggi, avventure e scoperte di luoghi esotici e lontani, ma non è chiaro quanto Pazienza fosse allineato con questo mondo e con il tipo di proposte che venivano fatte agli autori. Pur essendo grande ammiratore del lavoro di Pratt, Pazienza era un artista molto indipendente, questo potrebbe averlo portato a preferire forme di espressione più libere e meno vincolate alle esigenze editoriali. Andrea Pazienza aveva una vita tumultuosa, segnata da una forte ricerca di libertà espressiva e personale, ma anche da difficoltà psicologiche e da dipendenze. La sua intensa vita emotiva e la sua fragilità psichica spesso influenzavano il suo approccio alla professione. Il periodo in cui collaborava con Corto Maltese era uno dei più difficili della sua vita. Pazienza era anche noto per avere un rapporto complesso con il successo e con l’industria del fumetto in generale. Nel 1985 stava concentrandosi su progetti più personali e sperimentali, il più ambizioso dei quali era Gli ultimi giorni di Pompeo, dove il protagonista era un ennesimo alter ego dell’autore tratteggiato con sconcertante sincerità e irriverente provocazione. Il suo lavoro stava prendendo una direzione più libera e anarchica, che meglio rispecchiava la sua visione artistica. E alla fine se ne andò. N. 21 Tango Tango di Hugo Pratt è un’opera che esplora il confine sottile tra realtà e finzione, tra il desiderio di libertà e la schiavitù del destino, utilizzando una narrazione in cui la trama è volutamente sfuggente, come un tango danzato con il passato e il presente, con la memoria e l’oblio. La storia non si sviluppa mai in modo lineare, come se la vicenda fosse avvolta in una nebbia che impedisce al lettore di percepire completamente cosa stia davvero accadendo. Questa caratteristica, presente da tempo nel modo di narrare di Pratt, sembra però perdere quelle caratteristiche che ne avevano fatto un motivo di distinzione per il maestro di Malamocco e diventare un fattore di disturbo per il progredire degli eventi che si susseguono, in una scarsa comprensione delle loro cause e dei loro effetti. Uno dei temi più forti è la riflessione sulla realtà come qualcosa di elusivo, che sfugge alla comprensione piena dei personaggi e del lettore. La storia è volutamente non lineare, con un intreccio che sembra seguire più le emozioni e le sensazioni dei protagonisti che una logica razionale. La realtà in Tango non è mai stabile: ogni certezza viene messa in dubbio, ogni verità sembra essere relativa e sfumata. La porta d’Oriente La porta d’Oriente di Vittorio Giardino è un’opera che si muove su un territorio di grande ambiguità e sospensione tra il reale e il surreale. Un’opera in cui il confine tra ciò che è concreto e ciò che è immaginato si fa sfumato e incerto. Come nella avventura precedente di Max Friedman, oltre a portare avanti una storia ricca di mistero e di colpi di scena, Giardino si interroga sulla natura delle relazioni umane, sul passato e sul destino, usando un’atmosfera ricca di fascino e suggestioni. Il tema dell’ambiguità del reale è centrale in questa narrazione, in cui il lettore è continuamente sollecitato a riflettere sulla verità dei fatti e sull’affidabilità della percezione. In un contesto geografico che rimanda a un Oriente esotico, ma anche metaforico, Max Friedman vive un’esperienza che mette in discussione la propria identità, le proprie certezze, e il proprio rapporto con il reale. La porta d’Oriente, simbolicamente, non rappresenta solo un passaggio fisico, ma anche un’apertura verso un mondo dove i confini tra sogno e realtà non sono mai chiari. L’Oriente, in questo caso, diventa il luogo di una ricerca: quella della verità, ma anche quella di un’identità più profonda, che si svela a poco a poco, ma mai in modo definitivo. Le cose che Friedman vede e vive sono segnate da un senso di inevitabile incertezza e ambiguità, che permea tutta la trama, lasciando il lettore con più domande che risposte. N. 32 Le avventure asiatiche di Giuseppe Bergman Le avventure asiatiche di Giuseppe Bergman rappresentano la terza puntata del viaggio dell’alter ego di un autore affascinato dai temi esistenziali e filosofici in un mondo esotico e spiritualmente ricco, ma allo stesso tempo pervaso da un senso di incertezza e ambiguità. I punti di forza che avevano determinato il successo delle due precedenti puntate, però, cominciano a venire meno e la storia inizia a perdere l’equilibrio tra tradizione e sperimentazione. Come nelle altre avventure di Giuseppe Bergman il tema centrale è la ricerca interiore, ma questa volta la narrazione più che arricchita dagli elementi mistici e spirituali, che troviamo in abbondanza, appaiono ostacolare il libero fluire del racconto fino a renderlo in alcuni punti di difficile comprensione. L’opera appare concentrarsi sul concetto di karma: la legge di causa ed effetto che governa ogni azione e ogni esistenza. Come spesso accade nelle storie di Giuseppe Bergman, la ricerca del protagonista non porta mai a una risposta conclusiva, ma apre a nuove domande e a una consapevolezza che non è mai totale. N. 42 Le elvetiche Le elvetiche di Hugo Pratt è un opera che seppur dotata di una certa suggestione e di un innegabile fascino si presenta piuttosto slegata e incoerente. Il racconto esplora i temi dell’identità, del destino, e della percezione della realtà, in un’ambientazione avvolta da un’atmosfera misteriosa e onirica. Come ne “la vita è sogno” di Calderón de la Barca (scrittore spagnolo del XVII secolo), la storia sembra suggerire che la realtà, le esperienze e le scelte dei protagonisti siano intrecciate con il filtro del sogno. Le elvetiche è una storia che parte da un mistero, ma che si sviluppa come una riflessione sul senso della vita e sul destino. La trama delle Elvetiche non è lineare: si svolge tra diversi strati di realtà e sogno, rendendo difficile separare i due piani. La storia si concentra su temi come la memoria, il passato, e le scelte che definiscono il destino dei personaggi, ma soprattutto gioca sull’ambiguità tra il reale e l’irreale. Le tavole di Pratt sono ricche di dettagli che suggeriscono un mondo evanescente e sospeso, in cui la linea tra ciò che è tangibile e ciò che è immaginato è sempre sfocata. I personaggi e i luoghi sembrano svanire e riapparire, e gli spazi sono spesso astratti, come se l’ambiente stesso fosse privo di una solida definizione. Il fumetto sembra chiedere al lettore di accettare che la vita stessa sia un gioco di percezioni e illusioni, e che il significato delle esperienze può essere costruito attraverso la mente e l’immaginazione. I “viaggi” della rivista di Corto Maltese arrivano così a un punto cieco. Navigazione articoli DAVID MICHELINIE, CREATORE DI VENOM E CARNAGE L’ULTIMO ALBO DI CORTO MALTESE VA IN CORTO-CIRCUITO
La casa dorata di Samarcanda è ispirata al film il buono il brutto il cattivo. Corto Maltese, Chevket e Rasputin s si alleano e si tradiscono alla ricerca di un tesoro in mezzo a una guerra civile. Per me è bella. Rispondi