Clint Eastwood, giunto con Richard Jewell al trentasettesimo film come regista, è ormai da anni uno dei cineasti più apprezzati dalla critica e dal pubblico di tutto il mondo. Non solo per le vicende narrate, sempre appassionanti dal punto di vista emotivo e spettacolare, ma anche e soprattutto per le tematiche più personali che affronta. Questo articolo rappresenta il tentativo di evidenziarne qualcuna. La ricerca di una struttura non lineare, o procedimento binario, è un metodo narrativo caro a Clint Eastwood. In vari casi il regista inizia raccontando la vicenda di un personaggio, che potrebbe essere definito il protagonista, per poi aggiungerne un altro, instaurando tra i due un rapporto di dipendenza, espresso in svariate maniere. A volte essa deriva semplicemente da un rapporto di lavoro. È così ad esempio in Cacciatore bianco, cuore nero (White Hunter Black Heart, 1990), nel quale lo sceneggiatore Peter Verrill collabora con il regista John Wilson alla realizzazione di un film ambientato in Africa. Un meccanismo narrativo piuttosto simile è alla base di Mezzanotte nel giardino del bene e del male (Midnight in the Garden of Good and Evil, 1997). In questo caso il cronista John Kelso decide di scrivere un libro sul miliardario Jim Williams. Un rapporto di lavoro è anche quello che unisce l’allenatore e la ragazza aspirante pugile in Million Dollar Baby (id., 2004). Lo spunto del film è abbastanza classico. La ragazza, Maggie, cerca di convincere Frankie Dunn ad allenarla e a diventare il suo manager. L’uomo inizialmente rifiuta, poi finisce per cedere. La contrapposizione come elemento cardine della metodologia espressiva del regista Eastwood (ma derivante in fin dei conti dai tempi delle esperienze attoriali con Sergio Leone e Don Siegel), viene espressa qui al livello limite: i due personaggi sono all’opposto per sesso, età, carattere ed esperienza, con l’aggiunta che il pugilato rappresenta lo sport di contrapposizione individuale per antonomasia. Sostanzialmente in Eastwood il rapporto del protagonista con un altro personaggio porta a intraprendere un’azione, attraverso cui il personaggio cambia, evolve. Cambiamento ed evoluzione dei personaggi e delle situazioni sono per certi versi assimilabili al percorso fisico, al movimento che si compie in vari film del regista. Esemplare in tal senso il capolavoro Sully (id., 2016). Il percorso in questo caso è rappresentato dal tragitto di un aereo di linea, costretto a un ammaraggio di fortuna poco dopo la partenza per un guasto ai motori causato dallo scontro con uno stormo di uccelli. Il percorso dell’aereo è ovviamente l’elemento centrale della narrazione. Eastwood ne reitera in maniera quasi ossessiva fotogrammi e dinamica attraverso tutta una serie di espedienti: i ricordi e gli incubi di Sully, le simulazioni, l’ascolto della registrazione durante l’udienza. In questo modo evidenzia la scelta del comandante e traccia le coordinate del cambiamento/percorso di Sully (eroe, accusato, poi di nuovo eroe), ma anche e soprattutto di coloro che lo devono giudicare: i quali, dopo averlo messo sul banco degli imputati per aver preso una decisione che ha messo a rischio la vita dei passeggeri, lo assolvono e ne esaltano l’eroismo. Un mondo perfetto (A Perfect World, 1993) mette in scena una serie di contrapposizioni e di personaggi che cambiano nel corso della vicenda. Anche se, come ha scritto Alberto Pezzotta (Il Castoro Cinema, marzo – aprile 1994), “non c’è alcun dubbio sulla bontà di fondo di Haynes”, il protagonista del film è pur sempre un evaso che in passato ha ucciso due uomini e che durante la fuga prende in ostaggio un bambino. Proprio il rapporto con il piccolo Philip fa emergere il suo lato “buono” (sin dall’inizio, per la verità, da qui la sottolineatura di Pezzotta), tanto che Haynes finisce per stabilire con il bambino un rapporto quasi paterno. Nel contrapporsi a Haynes, l’investigatore Red nel finale con ogni probabilità si pente d’avergli dato la caccia provocandone la morte. Il pentimento d’altronde è un tema ricorrente nel cinema di Eastwood. Altrettanto significativo è Gran Torino (id., 2008). Eastwood, che si cuce addosso il ruolo del protagonista, non potrebbe essere più definitivo nella rappresentazione di una narrazione binaria fondata su una contrapposizione e un cambiamento. L’anziano Walt Kowalski, misantropo e razzista, finisce per diventare amico della famiglia Hmong venuta ad abitare vicino a casa sua. Tanto da aiutare il giovane Thao a trovare lavoro, difendendo poi lui e sua sorella da una banda di teppisti. Come in Sully e nel successivo Ore 15:17 – Attacco al treno (The 15:17 to Paris, 2018), Clint Eastwood nel suo film più recente, Richard Jewell (id., 2019), tratteggia la figura di un uomo normale (e realmente esistito) che compie un atto eroico. Uomo comune, appunto, ma con una personalità in chiaroscuro, scandagliata in ogni aspetto dalla sceneggiatura e dai personaggi che lo attorniano, attraverso cui definisce se stesso. L’aspetto più interessante del film è la complessità delle contrapposizioni, che lo apparenta a un’opera fondata sull’ambiguità come Mystic River o alla rivelazione dell’insospettabile passato della protagonista del sottovalutato I ponti di Madison County. Con Richard Jewell Eastwood sembra quindi voler tirare le fila di un discorso tematico che viene da lontano. Lo fa non solo tramite la figura di Jewell, che prende in mano la situazione e afferma con forza la propria innocenza nell’ultimo confronto con gli agenti dell’Fbi. Ma, se possibile con maggiore incisività, attraverso la figura solo apparentemente secondaria di Kathy, la giornalista cinica e rampante: la quale, a un certo punto, piange ascoltando il discorso della madre di Richard. In buona sostanza, Eastwood suggerisce ancora una volta che l’essere umano cambia, evolve (migliora?), solo quando c’è una contrapposizione, un conflitto. https://www.youtube.com/watch?v=Wk0oKB5f-RY Navigazione articoli GHOST IN THE SHELL, UN FILM CHE TI PRENDE PER I FONDELLI ANIMALI SELVAGGI, LO SQUALO E I SUOI FRATELLI