Caspar David Friedrich

Un uomo elegante munito di un bastone da passeggio, giunto in cima a un monte dopo una lunga scarpinata, si ferma ad ammirare l’ampia vallata che si allarga a perdita d’occhio nello strapiombo davanti ai suoi piedi.

Dalla coltre nebbiosa che l’ammanta spuntano qua e là speroni rocciosi e fronde d’alberi a indicare l’invisibile realtà che essa nasconde, in un paesaggio che sa tanto di arcano ed enigmatico.

Il viso di quell’uomo solitario non lo scorgiamo, ma tutto lascia credere che stia trattenendo il respiro di fronte a quegli “interminati spazi e sovrumani silenzi, e profondissima quiete”, mentre è bello immaginare che – magari – ripensi ai versi dell’Infinito di Leopardi, composto proprio in quegli anni.

Non ne vediamo il volto, in quanto il tedesco Caspar David Friedrich, cioè il pittore che, dipingendo questo splendido quadro, inconsapevolmente realizzò l’icona dell’età romantica, i suoi personaggi li ritrasse sempre di spalle, perché voleva che in essi si potesse immedesimare ciascuno di noi.

Così, il colpo d’occhio di quest’uomo diventa anche il nostro, come pure lo smarrimento di fronte al mistero della natura e del divino.

Insieme a lui, anche noi ci sentiamo terribilmente piccoli e impotenti davanti all’immensità del cosmo che ammiriamo, per esempio, nell’oceano sterminato, in un cielo stellato o in un paesaggio che toglie il respiro.

Sono tutte realtà irrimediabilmente distanti e inaccessibili per noi, limitati e incapaci di comprendere misteri tanto al di fuori della nostra portata.

Malinconia, tedio, angoscia, fuga dal presente e attrazione nei confronti della natura incontaminata sono tematiche ricorrenti nella cultura romantica d’inizio Ottocento, di cui Friedrich, in campo pittorico, fu uno dei rappresentanti più famosi.

L’aggettivo “romantic”, usato per la prima volta nell’Inghilterra del Seicento per designare tutto ciò che vi fosse di fantastico e irreale nei romanzi cavallereschi medievali, nel secolo successivo iniziò a indicare quanto sollecitasse l’immaginazione, per poi passare a significare ciò che rapiva i sensi, sia che si tratti di una visione, un’opera d’arte, un sentimento o la persona amata.

Con gli occhi dell’uomo di Friederich, artista taciturno che nella vita provò il dolore sulla propria pelle vedendo morire, dopo la mamma e due sorelle, il fratello sacrificatosi per salvarlo da uno stagno gelido, nel quale era sprofondato da bambino per la rottura della lastra di ghiaccio su cui stava pattinando, scrutiamo anche noi, basiti, l’orizzonte.

E, con esso, contempliamo il “Mare Magnum” da cui cerchiamo di non farci sommergere, alla vigilia di un nuovo anno che si preannuncia avvolto dalla fitta coltre di nebbia vista dal nostro viandante.

Auguriamoci, come lui, di riuscire a intravedere qualche sprazzo di luce qua e là.


“Viandante sul mare di nebbia”, di Caspar David Friedrich, 1818, Hamburger Kunsthalle, Amburgo

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