Se proprio vogliamo mettere una data alla nascita del “romanzo a fumetti”, la più plausibile è il 1967. Quell’anno vedono la luce due opere diversissime, ma entrambe di indiscutibile valore letterario, nate da autori fin lì operanti nel tradizionale fumetto “per ragazzi”. Si tratta de “Una ballata del mare salato” di Hugo Pratt, prima avventura di Corto Maltese, e de “La rivolta dei Racchi” di Guido Buzzelli. Parleremo di quest’utima e del suo autore.

Guido Buzzelli era figlio (e nipote) d’arte con inevitabili studi artistici, si era avvicinato al fumetto per il tramite di Rino Albertarelli. Lavorando nel suo studio aveva collaborato alla storia “Il monaco nero” pubblicata sul settimanale Argento Vivo, per passare qualche anno più tardi alla realizzazione di storie per vari “giornalini”, a cominciare dallo Zorro dell’editore Gioggi.

La qualità dei disegni di Buzzelli viene fuori con maggiore evidenza in lavori successivi realizzati con l’aggiunta di una gradevole mezzatinta, come le avventure fantascientifiche di “Alex l’eroe dello spazio”, quelle dei giovane “Bill dei marines” o l’originale western che ha per protagonista la bionda Susanna “Bill” Lamont. Tutte, Zorro compreso, ristampate più volte in improbabili collane di vario formato, fin oltre la metà degli anni Settanta.

Il giovane Guido non ha problemi a lasciare l’Italia per proseguire la propria carriera, spostandosi prima in Spagna e poi nel Regno Unito, dove lavora per il Daily Mirror. Torna in patria nel 1960 per convolare a nozze con Grazia De Stefani, che diventerà sua fidata collaboratrice. In quegli anni torna a occuparsi di pittura, ma il fumetto continua a chiamarlo. Buzzelli ambisce a realizzare qualcosa di più “alto” delle storielle avventurose che in quegli anni continuano a imperare sui giornalini. E, senza che alcun editore gliel’abbia commissionata, scrive e disegna “La rivolta dei Racchi”, una storia sul consumismo dove oligarchi intercambiabili vengono manovrati dai reali detentori del potere, i produttori delle merci. L’autore romano si fa così portavoce, con un fumetto, di una protesta che sta montando e sfocerà di lì a un anno nel Sessantotto dimostrando che il linguaggio delle nuvolette parlanti non è necessariamente “roba da ragazzi”. Il varco l’avevano già aperto Diabolik (1962), Linus (1965) e i primi fumetti sexy (Isabella è del 1966), che, pur indirizzandosi a un pubblico adulto, lo facevano comunque con modalità narrative abbastanza tradizionali, con l’eccezione parziale dei lavori di Guido (destino del nome?) Crepax il cui Neutron (poi diventato Valentina) è già “fumetto d’autore” pur senza rinunciare al “personaggio”.

Buzzelli va per un’altra strada: racconta una vicenda a sé stante, un “romanzo breve disegnato” che è opera di denuncia perfettamente in linea con quelle che nello stesso periodo scuotono i teatri e le sale cinematografiche, a cominciare dai film surreali di Luis Buñuel e Marco Ferreri. E si mette doppiamente in gioco dando al personaggio principale della vicenda, il racchio Spartak, le proprie fattezze, come farà anche nei successivi “I labirinti” e “Zil Zelub”, dove il nome del protagonista è addirittura anagramma del cognome dell’autore.

“La rivolta dei Racchi” risveglia l’attenzione di Rinaldo Traini, all’epoca patron del Salone di Lucca, che la ospita sull’Almanacco dei Comics, catalogo ufficiale della manifestazione, ma l’operazione resta confinata alla lettura di pochi esperti e appassionati. Apparirà tre anni più tardi sulla rivista Psyco, anch’essa seguita da un pubblico limitato. Nemo propheta in patria, Buzzelli dovrà attendere la pubblicazione in Francia sul mensile Charlie diretto da Wolinsky per affermarsi come autore. Alla storia anticonsumistica dei Racchi, il fumettista romano fa seguire un’opera ancora più angosciante, “I labirinti” (1971), dove mette in scena di nuovo se stesso in un dopobomba senza speranza di salvezza, e “Zil Zelub” (1972) che racconta schizofrenia e frantumazione dell’uomo moderno.

Mentre lavora alle sue opere autoriali (“La locanda”, “Annalisa e il diavolo”, “Il mestiere di Mario”…) Buzzelli, che ai tempi dei giornalini disegnati per Gioggi aveva “fatto la fame”, viene riscoperto anche dall’editoria tradizionale e non disdegna di prestare la sua matita in Francia a “Nevada Hill” su testo di Gourmelin e, in Italia, a “La donna eterna” tratta dal romanzo di H. R. Haggard, adattato a fumetti da Mino Milani per il Corriere dei Ragazzi. Contemporaneamente realizza un’opera a metà strada tra i suoi racconti surreali e la produzione fantascientifica più tradizionale, “HP”, su sceneggiatura di Alexis Kostandi. Ancora una volta si raffigura in uno dei personaggi, ma non essendo la storia tutta farina del suo sacco, “interpreta” coerentemente la figura di un pittore, ruolo che svolge anche nella realizzazione del racconto. Storia di un futuro burocratizzato fino all’assurdo a cui si oppongono più per istinto che per progetto bande di “ribelli” in perenne fuga, “HP” permette all’autore romano di mostrare la propria abilità nel disegnare i cavalli (lo stesso protagonista è un equino-robot). E se a farlo entrare nel mirino dell’editore Sergio Bonelli per la realizzazione di un volume della collana “Un uomo un’avventura” su testi di Gino D’Antonio è probabilmente il lavoro svolto per il Corriere dei Ragazzi, che aveva un’ambientazione simile, è sicuramente la bellezza dei cavalli disegnati a piene mani in “HP” che spinge lo stesso Bonelli a offrirgli di entrare nello staff dei disegnatori di Tex. Buzzelli accetta e realizza una storia scritta da Claudio Nizzi. Ma l’interpretazione che l’autore capitolino ha dato dei personaggi non convince Sergio Bonelli, sempre timoroso che i suoi lettori più tradizionalisti possano “non riconoscere” l’amato ranger e allontanarsi dalla testata. Così si inventa una pubblicazione “speciale” di grande formato che, visto il successo di vendite, diventa il “Texone”, una collana annuale i cui disegni sono (quasi sempre) opera di disegnatori non texiani, delle “prove d’autore” di grandi nomi del settore che “interpretano” a loro modo Tex.


“Bocciato” (ancorché apparentemente promosso) alla prova del Tex, Buzzelli torna a collaborare ai settimanali popolari realizzando per Lanciostory serie come “Billy e Pupa” su testo di Michele Gazzarri e, in Francia, viene chiamato a contribuire alla “Histoire du Far West en Bandes Dessinées” della Larousse. Realizza per l’effimero quotidiano L’Occhio diretto da Maurizio Costanzo una serie di biografie a fumetti, e realizza illustrazioni erotiche per la rivista Menelik. Negli ultimi anni lavorerà in Italia e Oltralpe per la televisione, proseguendo la sua attività di illustratore e pittore, oltreché insegnante all’European Institute of Design. Fino alla morte avvenuta il 25 gennaio del 1992 nella sua città, che gli dedicherà una via.

La sua stagione di autore di “romanzi grafici”, quindi, è rientrata dopo una quindicina di anni, quando la crisi delle riviste d’autore ha costretto la maggior parte degli artisti a rientrare nell’alveo della produzione seriale, mentre anche gli Anni di Piombo in cui era involuta la protesta giovanile si spegnevano nel riflusso della “Milano da bere”. Peccato che la stagione del formato editoriale del graphic novel sia arrivata solo un decennio dopo la scomparsa di Buzzelli che ne sarebbe stato altrimenti, a pieno titolo, il decano.

 

 

4 pensiero su “BUZZELLI, L’INVENTORE ITALIANO DEI GRAPHIC NOVEL”
  1. un pezzo molto interessante, che però mi ha fatto venire qualche dubbio di carattere cronologico: quello che poi sarebbe diventato il primo “Texone” quando si colloca temporalmente? Io ricordo di aver visto le prime prove sui Fumo di China risalenti al 1983/84, ma Billy e Pupa uscì su Lanciostory nel 1977/78: il Texone era già in lavorazione all’epoca? Mi sembra che anche Nizzi arrivò alla Bonelli solo nei primi anni ’80 (e non sono sicuro che Menelik esistesse ancora in quegli stessi anni).

  2. Ciao, Luca. Hai ragione, temo di aver sbagliato qualche conto. Il Texone di Buzzelli è del giugno del 1988; Nizzi aveva iniziato a collaborare con la Bonelli nel 1981 con Mister No, per passare a Tex a metà degli anni 80. Mentre Billy e Pupa è del 1977/78 come dici giustamente tu. Non ho più i numeri dei settimanali dell’Eura (o all’epoca era ancora Lancio?), e mi sono affidato alla memoria… che mi ha tradito. Ancora più clamorosa la svista su Menelik, che è degli anni 60, per cui precedente/contemporaneo de “La rivolta dei Racchi”. Correggerò quanto prima l’articolo. Grazie per avermi segnalato gli svarioni.

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