È il primo album dei Blood Sweat and Tears pubblicato in un anno fatidico: il 1968. Child Is Father To The Man già dalla copertina e dal titolo dell’album (allora si chiamavano LP) dimostra di essere figlio dei tempi e di rappresentare a pieno la forza innovatrice di quella generazione di musicisti. In Italia, in quegli anni, per ascoltare questo tipo di musica bisognava ingegnarsi; infatti esisteva solo la radio di Stato che dava pochissimo spazio alla musica giovanile. In pratica c’era Bandiera Gialla (dal 1965) condotta da Gianni Boncompagni e Renzo Arbore che andava in onda il sabato alle 17,40 e una rubrica di 15 minuti, a cura delle case discografiche internazionali, che andava in onda tutti i giorni feriali dalle 14,10. La rubrica, che si chiamava incredibilmente “Il discobolo“, proponeva l’ascolto di tre brani presentati ogni giorno da una Label diversa; quindi c’erano giorni in cui c’era la Fontana che aveva in scuderia gli Spencer Davis Group, Barry McGuire e Fifth Dimension, e altri giorni in cui c’era la CBS che proponeva musica classica. Urgeva trovare altre fonti, aprire nuove finestre sulla scena musicale inglese e americana. Una notte, smanettando l’autoradio alla ricerca di musica seduti sul divano anteriore della sua (del padre) Ford Taunus, il mio amico Mimmo e io rimanemmo fulminati da una musica del tutto nuova trasmessa in AM da una fantomatica Radio Luxembourg. Era la musica dei Blood, Sweat and Tears e la radio era la prima radio libera d’Europa. Il giorno dopo ci precipitammo nel negozio di dischi più fornito della città a cercare tracce di quello che avevamo ascoltato. La frenesia dipendeva anche dal fatto che la notte precedente, dentro a quella macchina americana, non si respirava proprio un’aria purissima e il dubbio che ci fossimo immaginato tutto aveva una sua cittadinanza. Il disco non c’era, ma si poteva ordinarlo a un importatore di Milano. Tempo stimato: due settimane. Durante il giorno Radio Luxembourg non trasmetteva, e non vi dico la delusione e lo spavento che ci attanagliarono quando nel pomeriggio riprovammo a trovarla sulla stessa autoradio. Non c’era Google e non sapevamo come reperire informazioni sulla subito amata e sconosciuta radio. Dopo la mezzanotte, come per incanto, riascoltammo l’avveniristica sigla di apertura di quella che sarebbe diventata la nostra compagna fissa di innumerevoli notti in “surplace” automobilistico. Quando finalmente il disco arrivò era un pomeriggio afoso e in casa di Mimmo era buio pesto (tutti gli scuri chiusi e le luci spente: allora il caldo si combatteva così). Ci chiudemmo nel salone dove c’era il giradischi Hi-Fi, lui infilò il disco sul perno centrale e io sollevai la testina per depositarla sul primo solco vinilico. Ouverture d’archi? Ok, siamo pronti a tutto: stupiteci. Pochi secondi e tutto ha un senso con l’attacco di chitarra di I Love You More Than You’ll Eever Know, un vero capolavoro firmato da Al Kooper e magistralmente eseguito dallo ensemble. Indimenticabile la chitarra di Steve Katz. Ottoni e organo Hammond ci portano nel nuovo mondo di Al Kooper con Morning Glory, un immaginifico incontro tra la musica modale e il country americano. La contaminazione di generi prosegue con il rockeggiante My Days Are Numbered che ospita un modernissimo e breve solo di chitarra. Con Without Her approdiamo alla Bossa Nova e al Jazz visti dai Blood, con un risultato formidabile sotto ogni punto di vista. Qui, ricordo, avemmo un primo sussulto di godimento. È la volta di Just One Smile, altra perla del disco dove orchestrazioni ardite e inimitabili atmosfere segnano forse il punto più alto dell’album. Geniale l’arrangiamento d’archi e fiati del blues kooperiano I Can’t Quit Her che prelude alla delicata e ispirata Megan’s Gypsy Eyes. L’attacco di organo Hammond di Somethin’ Goin’ On ci riporta in uno stato vigile e ricettivo e, di lì a poco, ci convince definitivamente che ci troviamo al cospetto di un capolavoro. C’è dentro tutto: jazz, blues, rock, musica sinfonica, R’n’B, con sopra la ciliegina della grande interpretazione vocale di Al Kooper. John Simon ci regala un’altra perla con il bellissimo arrangiamento d’archi di The Modern Adventures of Plato, Diogenes and Freud , una canzone con i crismi dell’eternità. La chiusura è affidata a So Much Love, ancora una volta cantata magistralmente dal nostro Al, al quale non smetteremo mai di dire grazie per questo memorabile disco. Ricordo che la chiosa d’archi mi rimase nelle orecchie per diverse ore. Navigazione articoli PAWN HEARTS, L’APICE DEL ROCK PROGRESSIVO IL ROCK TOTALE DI LOST ON THE ROAD TO ETERNITY
Trovato in CASSETTA (una bislacca edizione CBS “Record Bazar”) quando dei Blood Sweat and Tears conoscevo già album successivi, mi stupì per la freschezza e l’originalità che il tecnicismo di “New Blood” e “New City” sembravano aver dissipato. Hai ragione su tutto; formidabile “Without Her” col tocco latineggiante e il blues iniziale, “I love you more” ecc., capolavoro. “Morning Glory”, rispetto alle scarne e fluttuanti versioni acustiche dei live di Tim Buckley, fu l’unico brano a sembrarmi un po’ appesantito dalla versione “BS&T”. Album ascoltato innumerevoli volte; bella recensione. Rispondi