Un uomo seduto, elegantemente vestito, coi suoi occhi d’un verde-azzurro profondo ci rivolge uno sguardo ravvicinato, come se ci trovassimo in una pausa di silenzio durante una chiacchierata fra amici, in una situazione di grande intimità. Così Raffaello ci presenta l’amico conte Baldassarre Castiglione, ambasciatore della corte urbinate presso quella pontificia durante il papato di Leone X e letterato che, col “Cortegiano”, influenzò generazioni di aristocratici e borghesi. Nato il 6 dicembre del 1478 a Casatico, nei pressi di Mantova, piaceva e ammaliava perché incarnava l’ideale del gentiluomo. Più che per il sangue blu che gli scorreva nelle vene, si distingueva per educazione, cultura, buone maniere, eleganza dell’eloquio e raffinatezza. Sapeva cavalcare, tirare con l’arco, suonare il liuto, danzare e comporre madrigali romantici, destreggiandosi alla perfezione in tutte le “arti gentili”. Avviato controvoglia al mestiere delle armi per entrare al servizio di Ludovico il Moro, dopo la rovinosa caduta in disgrazia del suo protettore, il Castiglione si trasferì a Urbino presso la corte del duca Guidobaldo da Montefeltro, sentendosi più a suo agio negli ambienti raffinati che sui campi di battaglia. La coltissima Elisabetta Gonzaga, che dell’impotente Guidobaldo era la sfortunata consorte, ne fece il suo favorito e l’inserì nel salotto buono che si era creata, convocando presso di sé la migliore “intellighenzia” italiana di quei tempi. Nella piccola capitale di un piccolo Stato si diedero convegno, fra gli altri, il poeta Pietro Bembo, il cardinale e drammaturgo Bibbiena, il poeta Bernardino Accolti e lo scultore Cristoforo Romano. Trentottenne, il nostro si risolse a prendere moglie perché costretto dalla madre, scegliendo una ragazza mantovana di soli quindici anni che però morì di parto dando alla luce una figlia. Dopo averla pianta, Baldassarre affidò la neonata alla nonna per riprendere la vita che gli era congeniale, quella cioè del non inconsolabile vedovo, condizione che avrebbe mantenuto per il resto dei suoi giorni. Il suo nuovo signore, il duca Federico Gonzaga, lo nominò ambasciatore presso la corte papale che, con l’elezione al soglio pontificio di Clemente VII (un altro Medici) assisté al trasferimento dalle rive dell’Arno a quelle del Tevere delle feste e dei lussi cui il nuovo Papa era avvezzo, in un turbinio di munificenza, nepotismo e corruzione, morale e materiale. In mezzo a questa “Babele” il Castiglione si sentì a disagio, tanto che dallo stesso Clemente VII, al servizio del quale intanto era passato, si fece nominare ambasciatore nella ben più morigerata Madrid dell’Imperatore Carlo V. Proprio nella capitale spagnola fu raggiunto dalla notizia del terribile sacco di Roma del 1527, operato dai Lanzichenecchi su “input” dell’Imperatore, e fu per questo accusato di tradimento dal Pontefice che lo ritenne responsabile di non avergli voluto o saputo svelare in anticipo i piani che l’Asburgo stava mettendo a punto contro di lui. Sottoposto a inchiesta, seppur alla fine giudicato innocente, la sua fibra risentì di quella prova dolorosa, tanto che nel giro di pochi mesi cedette, portandolo alla tomba. Di lui ci restano gli ideali che, nel “Cortegiano” pubblicato per la prima volta nel 1528 e subito diventato il best-seller di quei tempi, trovano il perfetto compendio. In una società che traboccava di vizi e corruzione, il Castiglione dettò gli ideali cui ogni aspirante gentiluomo avrebbe dovuto ambire in base al principio che una buona Corte fa un buon Signore, il quale a sua volta fa un buono Stato, anche se il passaggio dalla teoria alla pratica, però, è un’altra cosa. Accompagna questo scritto il “Ritratto di Baldassare Castiglione”, di Raffaello Sanzio, 1514, Museo del Louvre, Parigi. (Testo di Anselmo Pagani. Riproduzione consentita se indicante il nome dell’autore). Navigazione articoli GIULIA COLONNA, PRINCIPESSA NUDA, E IL FRATE PIRATA MEGLIO UN MORTO IN CASA CHE UN MARCHIGIANO FUORI DALLA PORTA