Domenica scorsa 20 ottobre 2024, sono andata al cimitero monumentale di Torino. Mio fratello e io ormai ci siamo divisi un po’ le competenze, per così dire, e i cimiteri. Io di solito vado a Rivoli, dai miei suoceri, e vado al cimitero del paese dove abito (nella seconda cintura di Torino). Mio fratello va al monumentale di Torino dove ci sono sepolti i nostri nonni paterni e le mie zie che morirono nel 1959, a tre mesi una dall’altra, una di 40 anni e l’altra di 35, mentre i genitori erano ancora vivi. Gli sopravvissero di pochi anni. Quest’anno però mi è venuta voglia di andare a quella tomba. Il monumentale di Torino Pioveva a dirotto, ma non faceva freddo. Il cimitero è immenso. Tutto intorno sembra ancora campagna con i parcheggi sotto gli alberi. È piovuto tanto in questo periodo e c’erano grandi pozzanghere dappertutto. Sono andata con mio fratello in auto. Abbiamo parcheggiato sotto gli alberi stillanti. C’era solo un paio di auto parcheggiate. Mi pare che mio padre, quando ero bambina, ci avesse portato una volta a visitare questo cimitero, anche se non avevamo nessun familiare sepolto. Non capivo, mi sembrava un giardino. Poi morì mio fratello a 13 anni e mezzo di endocardite acuta che, all’epoca, non era curabile. Così i miei lo seppellirono in una tomba di marmo bianco con la sua foto della comunione sopra, lì al monumentale. Io avevo da 8 anni in su e mia madre mi mandava a portare i fiori alla tomba di mio fratello in tram. Noi sviluppiamo presto ed ero alta per la mia età ma all’epoca, come dice la comica siciliana Teresa Mannino, per i ragazzini era così. Ricordo che mi sedevo vicino al finestrino. Le mani erano gelate, rosse, mi facevano male. Evidentemente faceva molto più freddo di quanto non faccia ora. Quando scendevo dal tram, alla fermata secondaria che dava accesso al campo dove si trovava mio fratello, c’erano lunghe file per entrare. Domenica non c’era nessuno. Forse era troppo presto, voglio dire, era una domenica ancora troppo lontana dai Santi (1 novembre)? Forse il mio ricordo di quando venivo da bambina riguardava la domenica precedente quella dei Santi? Non lo so ma, così a memoria, mi sembra che all’epoca tutto il mese di ottobre fosse caratterizzato da code di gente che andava al cimitero. Il fatto che la gente non frequenti più i cimiteri mi fa paura, mi sembra di cattivo augurio perché è proprio il culto dei morti che ha caratterizzato e identificato l’uomo. Quando vedo questi cambiamenti penso che mi piacerebbe sapere a che punto siamo della nostra evoluzione, che cosa stia succedendo. Il cimitero del mio paese Comunque al paese dove abito vado al cimitero tutti i sabati. Quando era viva mia madre, che è sepolta lì, andavamo al cimitero il venerdì mattina, io e lei. Allora, il venerdì incontravamo un gruppo di vecchiette in visita più o meno della leva di mia madre (1921). Penso che siano morte tutte perché adesso, quando vado il sabato mattina, dopo aver fatto la spesa al supermercato, non incontro nessuno se non, qualche volta, una vecchietta come me che è stata una sindacalista in una fabbrica del paese. Adesso è pensionata, naturalmente. Mio marito, mi dice: “Sei fissata ad andare tutte le settimane. Non vedi che non c’è nessuno? Chi verrà a trovare noi al cimitero?”. Io rido e gli dico: “Non mi importa chi viene e chi non viene. Non voglio obbligare nessuno. Io ci vengo perché è una cosa a cui sono abituata, mi dà un senso di calma, di continuità, mi fa sentire un essere umano. C’è la tomba di mio fratello. L’ho fatto portare qua dal monumentale. Ho fatto la traslazione. Che giorno tremendo!”. La traslazione Fatevi coraggio, il 99,99% delle cose del mondo sono meglio! Erano tempi più prosperi (non a caso sono chiamati i mitici anni ottanta) e, udite! udite!, ci eravamo addirittura fatti una tomba tutta per noi. Quando era morto mio padre nel 1977 (tumore allo stomaco) il comune dove vivevamo (sempre quello nella seconda cintura di Torino), non aveva spazi disponibili per tombe in terra e loculi. Così avevamo mio padre morto in casa (me lo ero portato a casa dall’ospedale, non volevo lasciarlo morire in ospedale) e non sapevamo dove metterlo. Tramite un nostro amico riuscimmo a seppellirlo nel cimitero di Carignano. Io ero giovane (32 anni), disperata, perché adoravo mio padre. Così mi sono ripromessa di preparare una tomba dove mettere i miei: mio fratello, mio padre in attesa di noi. Una cosa pulita, semplice, senza fronzoli, con il cognome in alto. Alla fine il marmista volle metterci la porta. “Ci devi mettere la porta, se non ce la metti ti porteranno via tutto: i marmi, i vasi… la gente è così…”. La porta era di vetro. “Sembra la porta di un negozio… ma è giusto così… siamo stati commercianti e in fondo lo siamo ancora. Si è commercianti a vita”. Ci traslai mio padre, che misi al centro, e poi ci traslai mio fratello. Quel mattino avevamo appuntamento alle 9 con il sutrùr (in dialetto piemontese il sotterratore, il becchino). Eravamo io e mia madre e io guidavo. Era un’auto quasi nuova che mai mi aveva dato un problema e mai me lo diede dopo. Improvvisamente non andava avanti, si fermava. Forse ero io che non sapevo più guidare… Noi avevamo una cassettina nel bagagliaio con le ossa di mio fratello che eravamo andate a prendere dalla tomba del monumentale. Lo avevo riconosciuto! Aveva la fronte chiara molto alta caratteristica (come quella di mia madre) e, quando il sutrùr aveva messo il cranio nella cassetta avevo ritrovato quella fronte, avevo riconosciuto mio fratello! “Celeste è questa corrispondenza di amorosi sensi, celeste dote è negli umani” Forse vuol proprio dire questo Foscolo nel “Dei sepolcri”: Siamo umani proprio perché siamo accomunati come umani dal sapere che moriremo come sono morti i nostri vecchi e come moriranno i nostri figli. Il ricordo oltre la tomba, quella fronte alta e bianca di mio fratello riappariva in quel cranio a ricordarmi che quello era stato, anzi era mio fratello, un ragazzo buono e affettuoso. Era stato tanto amato da mia madre che mai aveva perdonato Dio di averglielo portato via. Mi aveva sussurrato sottovoce che, dopo, non poteva più credere. Ma me lo diceva sottovoce perché per la sua fede fiduciosa, ingenua (ho pregato tanto…), era una cosa inaudita. Dopo, aveva partorito il mio secondo fratello perché sentiva forse che era suo dovere e perché mio padre aveva cercato di farglielo fare. Il medico diceva: “Se non fa un altro figlio se ne va di testa”. E così ho questo secondo fratello che mi accompagna al monumentale. Si deve morire Quando ero bambina ricordo che gli anziani, quelli che stavano perennemente vicino alla stufa a sgranare fagioli o a girare la polenta o a fare le caldarroste pian piano nella padella bucata, quando c’era un morto in casa o in qualche casa dei vicini, borbottavano: “Eh, spose, mi raccomando, portateli ‘sti bambini a vedere il morto! Non lasciateli crescere come bestie, che non sanno che cosa significhi vivere, non sanno che si deve morire! Se non glielo insegniamo noi, chi glielo deve insegnare?”. Ma io oggi nel 2024, oggi che sono vecchia anche se non sgrano i fagioli e non giro la polenta e non cuocio le caldarroste nella pentola bucata (le gira mio marito) avrei il becco di dire una cosa simile a mia nuora per mia nipote? Sicuramente no, anche se penso che sia un consiglio saggio. Forse siamo meno sicure di noi stesse, meno sicure della nostra cultura. Io spero che mi succeda perché sono più rispettosa della libertà altrui o forse, semplicemente, perché credo che ogni madre abbia il diritto di sbagliare a modo suo. Ma forse, semplicemente, siamo più menefreghisti (siamo i boomer, nati quando berta filava) e non sentiamo l’educazione dei giovani come un dovere collettivo. Virginia, cimitero di Arligton Ricordo però che rimasi molto colpita dai piccoli Kennedy al funerale del padre a fianco della mamma. Ho anche visitato la tomba dei Kennedy al cimitero di Arlington in Virginia, dall’altra parte del fiume Potomac a Washington. Il cimitero di Arlington è stato destinato ufficialmente come cimitero militare a metà Ottocento dall’allora Ministro della difesa: oltre 300mila persone sono state sepolte in questo cimitero. Vi sono sepolti veterani di tutte le guerre statunitensi, dalla Guerra d’indipendenza agli attentati del 2001. Ho visitato il cimitero di Arlington nel 1988. È impressionante. C’è una distesa di lapidi bianche, tutte eguali. Ci sono veterani neri in carrozzina accompagnati da vecchie madri e da padri dai capelli bianchi che vanno alla ricerca della lapide di qualche commilitone. Rimasi sconvolta nel vedere la disparità delle tombe: la tomba del Presidente John F. Kennedy ha una fiamma perenne. Lui giace con la moglie Jacqueline Bouvier Kennedy Onassis e due loro figli morti bambini mentre la tomba di suo fratello Robert, ucciso anche lui in un attentato avvenuto durante la sua campagna elettorale presidenziale nel 1968, è una piccola lastra sormontata da una croce bianca. Non so perché mi fossi scandalizzata. Pensavo davvero che gli americani fossero più egalitari di noi e che negli Stati Uniti tutti i morti avessero tombe eguali? Non so che dirvi, ma ci rimasi male a vedere Robert Kennedy sotto una piccola lastra nel prato verde. Eppure lo diceva il poeta. “Qual fia ristoro a’ dì perduti un sassoChe distingua le mie dalle infiniteOssa che in terra e in mar semina morte?” (Foscolo, Dei Sepolcri) Che importanza può avere una lapide, una scritta? Forse un po’ avevo creduto alla favola della nuova Camelot di Kennedy e, nel mio immaginario, pensavo di trovarli seduti intorno a una tavola rotonda, tutti uguali. La livella Anche Totò finge di credere che siamo tutti uguali. Forse prende bonariamente in giro se stesso perché non oso pensare quanto avrà speso per ricostruire la sua genealogia più o meno taroccata per farsi proclamare Antonio Griffo Focas Flavio Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo! Il cimitero di Praga Quando ho scritto che mi piacerebbe sapere a che punto siamo mi riferivo proprio a questo. Vedendo il vecchio cimitero ebraico di Praga si poteva già capire come suonava per gli ebrei in Europa. Infatti quando avevo mio padre da seppellire non ho pensato di togliere una lapide e la sepoltura di un altro per seppellire mio padre ma, da buona italiana un po’ mafiosa dentro, ho trovato un amico che garantisse per me per seppellirlo a Carignano. Evidentemente a Praga era impossibile per gli ebrei trovare un amico che garantisse per loro. Il vecchio cimitero ebraico di Praga (in ceco Starý Židovský Hřbitov), è uno dei monumenti più significativi dell’antico quartiere ebraico praghese nonché uno dei più celebri cimiteri ebraici in Europa. È stato per oltre 300 anni, a partire dal quindicesimo secolo, l’unico posto dove gli ebrei di Praga potevano seppellire i loro morti. Le dimensioni del cimitero sono all’incirca quelle che aveva nel Medioevo e si è provveduto alla mancanza di spazio mettendo una tomba sopra l’altra perché il cimitero non poteva allargarsi. Durante l’occupazione tedesca, voi penserete che i tedeschi avessero tentato di eliminarlo, invece il cimitero fu risparmiato. Le autorità tedesche decisero che sarebbe rimasto a testimonianza di un popolo scomparso infatti pensavano di sterminare tutti gli ebrei. In alcuni punti si sono sovrapposti 9 strati di diverse sepolture. Le lapidi venivano staccate dal suolo, veniva ammonticchiata della terra per una nuova sepoltura, veniva rimessa la vecchia lapide e in più quella nuova a fianco. Non di tutti rimane una lapide. La densità di lapidi l’una quasi contro l’altra, il silenzio del luogo e la scarsa illuminazione (le lapidi sono quasi tutte all’ombra, oscurate dalle fronde degli alti sambuchi e di cespugli che crescono nel cimitero) creano un effetto unico con un’atmosfera spettrale. Le tombe consistono esclusivamente di una lapide di arenaria o di marmo (quelle più importanti) piantata nella terra. Ci sono circa 12.000 lapidi, ma si ritiene che vi siano sepolti oltre 100.000 ebrei. Il cimitero del Cairo: Al Qarafa Arafa (in arabo القرفة? – al-Qarafa) dovrebbe derivare dal nome del clan yemenita dei bani Qarafi tra i primi abitanti del luogo. Ad Al-Qarafa, nel cimitero, vivono più di un milione di persone. Il cimitero musulmano è il più antico del Medio Oriente, una città dentro la città del Cairo in cui vivi e morti abitano gli uni vicini agli altri, con edifici sia pubblici sia privati. Qui, le tombe servono ai bambini per giocare a nascondino, agli attori di un piccolo teatro ambulante per allestire il loro spettacolo, alle madri per stenderci i panni. I piccoli giardinetti davanti alle tombe sono coltivati a ortaggi. “Per il governo siamo già morti anche noi”, dicono alcuni abitanti. La situazione attuale, sebbene non approvata dal governo egiziano, viene comunque tollerata e considerata un dato di fatto difficilmente modificabile: sfrattare chi ci abita priverebbe troppa gente di una casa non sostituibile. Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel il 40% della popolazione vive con meno di 1 euro e 50 al giorno e abitare in una delle numerose baraccopoli del Cairo è diventato addirittura un lusso per molte persone. All’inizio c’erano solo i guardiani delle tombe che con il permesso della famiglia, le curavano in cambio di alloggio. L’Al-Qarafa che avevo visto io, quando ero andata in Egitto, era il cimitero inglese di quando gli inglesi avevano occupato l’Egitto (1882-1952). Dentro ci vivevano le persone. Mi era sembrata una grande trovata perché c’erano queste casette ottocentesche di marmo nero, che erano delle tombe, che dovevano essere molto più fresche delle baracche di legno all’ultimo piano dei palazzi occupate dai servitori degli appartamenti sottostanti. Adesso la popolazione d’Egitto ha raggiunto i 102 milioni di abitanti. Quando ho visitato l’Egitto nel 1998 la popolazione era di 60 milioni di abitanti (come l’Italia di allora e di adesso). Il governo non è riuscito a controllare la natalità, una bomba ecologica per il pianeta. Siamo arrivati a questo punto? All’autodistruzione del pianeta e manco con il fungo di una bomba atomica ma perché si è incapaci di autoregolarsi, di vivere con intelligenza e moderazione. Migliaia di anni fa l’Egitto era il più ricco ed evoluto paese del mondo. Ma al peggio non c’è limite e anche i paesi che dominano il mondo possono decadere. La storia ci insegna che prima o poi decadono tutti. Tuttavia la resilienza dell’uomo è incredibile e ammirevole, almeno per me che ho la testa da vecchia contadina piemontese. Per sopravvivere si può vivere nella città dei morti. Non so se l’io di coloro che vivono nel cimitero non soffra perché sono egiziani e hanno una storia alle spalle di 5mila anni e sono orgogliosi delle piramidi di Giza, delle tombe che li guardano dalla periferia della loro città. Oppure i cairoti che vivono nel cimitero non sono troppo diversi da noi e soffrono come soffriremmo noi nel constatare la propria decadenza e la propria personale sconfitta. Che cosa dice il poeta? Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice né la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. (Dante, Divina Commedia, Inferno, canto V versi 120,123). Con strafottenza dico che mi possono seppellire in una riva a lato della strada. Ma faccio la valorosa, so che mi aspetta quel posto sotto la tomba di mio padre. Sarò tranquilla, non avrò paura, non farò brutti sogni. Navigazione articoli ITALIA, UNA STORIA CRIMINALE LA MOGLIE TRADIVA IL DOTTOR CRIPPEN DAVANTI A TUTTI