C’è una storia che vede protagonisti Wolverine e una donna che lui ha profondamente amato. Mi ha dato l’estro per comporre un haiku, una forma di poesia che ha origine in Giappone, come in Giappone è ambientata l’avventura dell’eroe. Chi la riconosce dai versi che seguono? “muta Mariko” (fotografia di Marco Marangoni, haiku di Tea C. Blanc) Fotografia World © di Marco Marangoni. All rights reserved Haiku World © di Tea C. Blanc. All rights reserved L’abbinamento fotografia e haiku veniva richiesto da un concorso al quale intendevo partecipare. Marco Marangoni, un fotografo amatoriale, si era offerto per l’esecuzione della foto. Ecco il laboratorio che Marco aveva allestito per l’occasione: la sua foto è rielaborata partendo da una coreografia ideata con alcuni pezzi di Lego. Per chi non fosse avvezzo alla lettura di un haiku, sottolineo che questa forma poetica è un punto di arrivo per chi scrive e un punto iniziale per chi legge: il contenuto è stringato all’osso e può avere più livelli di lettura. Per esempio, nell’haiku riportato sopra non si dice se Mariko stia tacendo oppure stia cambiando: la parola è muta. Un dettaglio tecnico: al secondo verso c’è una sinalefe. Il computo delle sillabe dà 7. Wolverine, di Chris Claremont & Frank Miller La vicenda da cui trae origine l’haiku è narrata nella storia di Wolverine scritta da Chris Claremont e disegnata da Frank Miller: la prima edizione italiana è del 1989, a cura delle Edizioni Play Press (i quattro episodi della miniserie erano stati pubblicati negli Stati Uniti dal settembre al dicembre 1982). Wolverine contro l’orso La storia si apre con Logan, l’alter ego di Wolverine, che si inerpica sulle montagne canadesi. È a caccia di uno spaventoso orso grigio che ha ammazzato sette uomini, tre donne e cinque bambini. Mentre riesce a ferirlo mortalmente si accorge che ha una freccia avvelenata nella schiena: è quello il motivo per cui l’orso è impazzito. Il “bastardo” cacciatore che l’ha scoccata, omettendo di inseguire l’orso e di finirlo invece di dare per scontato che il veleno lo avrebbe ucciso, si è reso responsabile di tutti questi omicidi. Scova il cacciatore, lo denuncia e fa in modo che sia perseguito dalla legge. Al ritorno alla sede degli X-Men, Wolverine scopre che tutte le sue lettere indirizzate all’amata Mariko sono tornate indietro. Dopo una telefonata all’ambasciata giapponese viene a sapere che è tornata in Giappone. A una seconda telefonata a casa della ragazza, riattaccano senza rispondere. Logan è allarmato e decide di vederci chiaro, il giorno dopo parte per Tokyo. Wolverine arriva a Tokyo L’amara verità, una volta sbarcato in Giappone, esce dalle parole dell’amico Asano Kimura, con il quale aveva collaborato quando Logan era ancora un agente segreto canadese: il padre di Mariko, l’oscuro Shingen Yashida, scomparso quando la ragazza era ancora una bambina e creduto morto, è ritornato reclamando i suoi diritti di capo del potentissimo clan che comandava. Non solo, prima di scomparire aveva contratto un importante debito e promesso la figlia in sposa come pagamento. Mariko, seppure profondamente innamorata di Logan, è dovuta tornare in patria per mantenere fede all’impegno paterno, pena il disonore e la messa al bando del clan Yoshida. Al dramma lacerante dei due amanti, divisi dai nuovi accadimenti che vedono Wolverine incapace di accettare il matrimonio dell’amata e Mariko intrappolata nel suo ruolo di pilastro dell’onore famigliare, seguono tortuosi risvolti e lotte sanguinose in cui compare una Mariko con il viso distrutto dalle percosse del novello sposo e costretta a subire in silenzio. In seguito, Mariko, a causa di malintesi e manipolazioni, arriva perfino a non considerare degno di lei l’amore di Logan. Quando finalmente le verità nascoste salgono a galla (che non racconto per rispetto a chi non avesse letto la storia di Claremont), la conclusione della vicenda si snoda tumultuosa attraverso drammatici colpi di scena. Wolverine nel primo triste incontro con Mariko Approfitto dell’occasione per fare qualche osservazione sull’haiku in generale. Di solito non entro in merito a questioni letterarie o di tecnica letteraria, spesso solo fonte di dissidio in cui si perdono gli obiettivi ultimi e primari che sono quello di scrivere bene, di comunicare, di riscrivere il mondo, di ridare senso alla parola, in special modo alla parola distrutta, disossata del suo valore, commercializzata, replicata fino alla nausea, ridotta a un totale vuoto di significato. Ma stavolta faccio uno strappo alla mia personale regola a causa di alcune perplessità nate da questa partecipazione a quattro mani a un concorso che si proponeva di affiancare una fotografia a un haiku, o viceversa. Anche ai concorsi di solito non partecipo. A questo, però, complice il fatto che all’haiku si univa l’arte della fotografia, per cui ho scritto alcuni articoli su Giornale Pop, ero incuriosita dal misurarmi con me stessa su un tema innovativo in campo poetico, quello dei fumetti, in particolare il tema supereroistico. Non dovrei nemmeno parlarne essendo stata nel ruolo di concorrente, d’altra parte, se non avessi concorso, probabilmente non mi sarei accorta di alcuni fatti che invece hanno causato un certo mio disagio non solo in campo tecnico-letterario, ma anche contenutistico. Ne esco con parecchi punti di domanda e ne spiego alcuni, dopo aver letto e visto i sette lavori presentati come finalisti. A proposito, il concorso era stato indetto da un’associazione in collaborazione con Lucca Comics & Games, denominato “Heroes in haiku”. Premetto che, per dirla alla Alberto Carocci, non sono idolatra di stilismi e purismi esagerati. Ugualmente ho rilevato incongruenze che non mi spiego. È comunemente ritenuto, per la stessa natura dell’haiku il quale deve potersi spiegare all’interno di tre versi, che non esista titolo. Il titolo è il primo verso. Se un haiku ha bisogno di un titolo per potersi spiegare non è un haiku, perché ha perso uno dei fondamenti su cui si sostiene. Questo primo fattore porterebbe a escludere a priori come forma d’haiku tutte le opere considerate finaliste, perché tutte riportano un titolo che spiega la lirica, e senza il quale l’interpretazione mancherebbe di un’informazione necessaria, tranne uno di cui il primo verso è riportato per metà, ma comunque pecca per metrica in quanto presenta la seguente sillabazione: 5 – 7 – 6. È ritenuto infatti che un haiku sia composto da tre versi, costituiti rispettivamente da 5 – 7 – 5 sillabe (more), per altro rilevato anche dal regolamento del concorso. Non mi addentro sulla punteggiatura utilizzata, però sarebbe stato gradito vedere almeno un kiregi o un kana, magari nella forma comunemente usata del trattino; e probabilmente anche qualche lettera maiuscola di meno. Né sul valore semantico, cioè di contenuti, perché l’impressione è stata quella di trovarsi di fronte più ad avvicinamenti alla citazione o alla definizione di un quesito da cruciverbista. È vero anche che Giorgio Weiss (di cui si sollecitavano le regole, che però non erano state indicate) fu giocoliere di parole, ma optare in toto e a senso unico verso un’imitazione di questa tendenza dà un’impressione sbagliata di quello è l’haiku in generale. Insomma, seppure nella mia profonda ignoranza di aspirante haijin (scrittore di haiku), certamente aperto a innovazioni ma nel rispetto di ciò che è questa difficile forma poetica importata, ci sarebbe piaciuto leggere qualcosa magari meno imitativamente autoriale, e invece haiku che ricordassero almeno un pochino il sabi e il wabi che sono lo spirito originale di un haiku. D’altronde, se è vero che la poesia offre un’attenzione radicale alla parola, perché allora chiamare haiku qualcosa che ricorda poco l’obiettivo primario? Si potrebbero inventare dei neologismi come post-sintetismo o sintetismo trinario, giusto per dire qualcosa. In ogni caso, qui il link di Cascina Macondo, sezione Haiku, sito di riferimento in materia, che offre intelligenti e complete panoramiche sull’haiku in generale, scritto in lingua italiana. World © Tea C. Blanc. All rights reserved. Navigazione articoli BIRDMAN DA ALEX TOTH A STEVE RUDE GLI INGIUSTAMENTE DIMENTICATI MICRONAUTI