C’era una volta, tanto tempo fa, un futuro lontano lontano… tanto lontano che con il passare degli anni è diventato vecchiume. Abusatissimo vecchiume. Fondamentalmente questa è una delle cose più disturbanti di ‘sto Alita – Angelo della battaglia: un film tutto sommato piacevole e pure divertente che avrebbe potuto, volendo, essere un gran film. Invece (voglia di sbattersi zero) tutto è più o meno riducibile a “bel film”. Facciamo giusto un passo indietro. Tra il 1975 e il 1985 una selva di personaggi come John Shirley, Bruce Sterling e Phillip K. Dick hanno dato libero sfogo alla paranoia gettando le basi per un nuovo genere. La cui effettiva codifica può essere fatta risalire a due elementi chiave: Blade Runner di Ridley Scott e Neuromante di William Gibson. Due opere, una del 1982 e l’altra del 1984, che hanno fissato i canoni del genere, dandogli un’estetica e un linguaggio. Nasce così il cyberpunk. Qualche anno dopo, nel 1990, un giovane autore di fumetti giapponese poco più che ventenne, Yukito Kishiro, inizia la stesura di Gunnm. Il manga ottiene un grosso successo, tanto che immediatamente la Viz Comics lo importa in America e da qui arriva in Europa. Solo che per gli yankee Gunnm era un nome “troppo duro” e Gally un nome troppo scemo per la protagonista. Grazie a un tocco di magia dell’adattamento, ecco che ciccia fuori Battle Angel Alita. Passa così un’altra decina d’anni e più o meno agli inizi del nuovo millennio, Guillermo Del Toro, la versione hollywoodiana in carne e ossa dell’Uomo dei fumetti di Springfield, sta tutto infognato con Alita. Va da James Cameron per dirgli che bisogna farci il film. A Jimmy Cameron l’idea piace e ci mette il suo sigillo. Peccato che da quel momento Cameron si sia scimunito con Avatar e i millemila seguiti che vuole farne. Passano così venti anni. Arriviamo ai giorni nostri. Quando venne fuori che il film di Alita – Angelo della battaglia non era più un sogno ma una solida realtà, c’era da farsi venire un coccolone di quelli forse fatali. Non tanto perché era stato annunciato che il progetto fosse finalmente uscito dal development hell, quanto perché eravamo nell’anno domini 2018 e a girarlo non era Cameron, ma Robert Rodriguez. Il problema di tutto ciò è riassumibile in due punti: nel fatto che oggi come oggi, quando si tratta di fantastico in genere e di adattamento in specifico, pare ci siano solo due modelli da seguire: quello di Christopher Nolan oppure quello di Zack Snyder. Modelli dai quali, in realtà, bisognerebbe stare veramente alla larga. Perché il primo, non importa quale sia il soggetto, tenterà di trascinare per i capelli la fantasia nella realtà a qualsiasi costo; mentre il secondo si limita a prendere pedissequamente delle parti del fumetto per appiccicarle così come sono in scala 1:1, al cinema. Sperando che in qualche modo funzionino. Rodriguez, dimostratosi già un attento seguace del “metodo Snyder” con Sin City, non s’è smentito con Alita – Angelo della battaglia. Tuttavia, c’è da considerare un fatto: la gran parte di questo film si basa su Hyper Future Vision Gunnm, Oav in due parti uscito nel 1993 e arrivato qui da noi l’anno dopo con il titolo Battle Angel Alita. Il quale, tra l’altro, copre circa un terzo del manga originale. Al di là di questo, ci sono un fottìo di parti del manga riportate col Metodo Snyder-copia-e-incolla, fino al debutto di Alita nel Motorball. Ed è appunto qui che viene fuori la restante parte dei problemi di questo Alita – Angelo della battaglia. In altre parole, Alita è un prodotto vecchio di quasi trent’anni nella sua forma mentis. Dopo tre decadi gran parte della sua freschezza e originalità (se mai ne avesse avuta) è andata in larga parte persa. Per esempio, c’è il netto distacco tra i ricchi della splendida Zalem, l’ultima delle città sospese, e i poveri costretti a vivere al di sotto di essa nella città-discarica di Iron City. Eh… Per caso qualcuno lì in fondo ha detto Metropolis? Oppure, sempre tanto per dire, la misteriosa femme fatale “aliena” dotata di incredibili poteri, non si chiamava Leloo ed era in realtà Il quinto Elemento? Il futuro (non tanto) sudicio, multilingue, illuminato a giorno da neon colorati di Alita, non ricorda troppo da vicino giusto un filmetto chiamato Blade Runner? Se non fosse sufficientemente chiaro, il problema non sta solo nel fatto che Alita – Angelo della battaglia sia un film estremamente derivativo… … quanto il fatto che arrivando liscio di “soli trent’anni” sulle tematiche trattate dalla sua controparte a fumetti, non sia stato fatto il benché minimo sforzo per osare. Non si è tentato di tirar fuori qualcosa di un tantino, non dico di originale, ma con almeno con un minimo di carattere. L’ambientazione cyberpunk, poi, sta lì solo per il nome. Per quanto le scenografie siano un grandissimo esempio di design avvenirista, restano un esercizio di stile fine a se stesso. Iron City, la città in cui si muovono i protagonisti, dovrebbe essere, a conti fatti, una discarica. Uno slum, un lercio immondezzaio in cui si arrangiano alla meno peggio i poveri disgraziati sopravvissuti alla grande guerra che ha mandato il pianeta all’aceto. Invece pare di vedere un classico mercatino etnico di qualche generica città mediorientale di certi documentari. L’impressione che all’improvviso spuntino Clarckson, Hammond e May vestiti da cazzoni a fare le loro solite baggianate è fortissima. L’estetica è troppo pulita, pettinata, lisciata; e questo si riflette inevitabilmente sui personaggi. Personaggi che in questo modo, ricordano troppo da vicino gente tipo Johnny Deep o Jason Momoa. Cioè cristiani che vanno in giro con quei vestiti trendy-finto-barbone come se non gli fregasse niente. Peccato che una sola di quelle maglie che vogliono far passare per pezze costi più di quanto uno guadagni in un mese. Probabilmente anche di più. La cosa stona malamente e si sente. Tolto questo e tolto l’aleggiante maledettissimo spettro del PG-13, però, Alita – Angelo della battaglia è il miglior film di Robert Rodriguez da parecchi anni a questa parte. La storia si basa di per sé su un riassunto. Il quale segue una prima parte del manga che certo non è che brillasse per profondità o tematiche complesse: alla fine si trattava di mazzate tra cyborg. Perciò, una volta tanto il sistema “copia e incolla” non ha fatto particolari danni. Sì, Alita è nel complesso un adattamento più che dignitoso per chi c’era all’epoca. Per tutti quelli che, invece, di Alita fino alla settimana scorsa non ne avevano mai sentito parlare è diverso. Il film, come quasi tutti quelli di Rodriguez, ha un’inconfondibile giocosità. Come regista d’azione mantiene movimenti leggeri ed energici che danno vita a una piacevole storia tutta azione che scorre liscia. Senza sorprese e originalità, certo. Ma comunque funzionale. La sceneggiatura, scritta da James Cameron e Laeta Kalogridis, nella foga di sbatterci dentro in due ore quanto più possibile, di comprimere l’intero mondo di Alita nei tempi cinematografici, probabilmente avrebbe beneficiato di un approccio less is more. Comunque, nonostante l’ingombrante background, Rodriguez rende tutto un’altalena. Al di sotto dei molteplici livelli di trama c’è un cuore pulsante d’azione che mantiene Alita sempre in movimento e questo è bene. Certo, non tutto sempre funziona come dovrebbe e ogni tanto ci si arena in qualche sequenza lenta da far cascare le palle, ma è solo un piccolo prezzo da pagare in un film in cui l’azione riprende senza sosta ogni cinque minuti. Alita – Angelo della battaglia fa il suo e lo fa come deve. Visivamente è abbastanza impressionante, in grado di rendere uno strano mondo realistico, ma mai finto-reale. In altre parole, si tratta di pura spettacolarizzazione, materializzazione visiva del fantastico. Un peccato che nel tentativo di ficcarci troppa roba Rodriguez, Cameron e soci, abbiano sorvolato su certe cose. Dispiace, perché Alita – Angelo della battaglia avrebbe potuto essere un grande film, invece è solo un bel film. Ebbene, detto questo anche per ora è tutto. Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro. (Da Il sotterraneo del Retronauta). Navigazione articoli THE REGIME, L’ARRIVO DEL MACELLAIO IL PROFESSOR GRANT VISTO DA UN VERO PALEONTOLOGO
Giuro che dopo le primissime frasi ho letto tutto l’articolo con il retropensiero “ehi, sta parlando di Fallout!”. Sostituisci ogni ricorrenza di “Alita – Angelo della battaglia” con Fallout, e ti risparmi la recensione della serie amaz(z)onica. Rispondi