Alfonsina

 

Bella la storia di Alfonsina Morini Strada, ai suoi tempi conosciuta come “il diavolo in gonnella”.
Nata il 16 marzo del 1891 a Castelfranco Emilia come seconda dei dieci figli di una coppia di poveri contadini, vide la prima bicicletta a 10 anni d’età, quando il babbo riparò alla meno peggio un mezzo di fortuna.

Su quelle due ruote sgangherate, Alfonsina imparò a pedalare sviluppando una bruciante passione per quello che allora iniziava appena a essere considerato uno sport.
Pedala, pedala, prese inizialmente parte alle sole competizioni locali, riportando però piazzamenti di tutto rispetto in gare sino ad allora riservate agli uomini.

La crescente popolarità, unita ai mormorii che cominciarono a diffondersi su di lei giovane nubile sempre a contatto con gli uomini, l’indussero a sposarsi nel 1915 con il meccanico Luigi Strada.
Fu l’inizio di una storia d’amore vero oltre che di un affiatato sodalizio sportivo. Dopo il trasferimento a Milano, infatti, con il convinto supporto del marito diventato suo allenatore e manager Alfonsina partecipò a numerose manifestazioni sportive.

Nel 1917, per esempio, gareggiò come unica donna nel Giro di Lombardia arrivando al traguardo per ultima, ma soddisfatta per avere interamente percorso i 204 km del tragitto, quando oltre metà dei concorrenti si erano ritirati prima.

Il suo trionfo lo ebbe in occasione del Giro d’Italia del 1924, quando ancora come sola partecipante di sesso femminile, su strade sterrate a volta polverose, a volta fangose, ma sempre piene di buche e con una bici pesantissima, percorse tutti i 3618 km previsti, seminando parecchi colleghi maschi e suscitando l’entusiasmo delle folle.
Mitico fu il suo ingresso a Perugia in sella alla bici di cui lei stessa aveva riparato con un manico di scopa il manubrio rotto.

L’allora direttore della Gazzetta dello Sport, accortosi che i lettori acquistavano il giornale soprattutto per attingere notizie su di lei, la invitò a “non mollare”, arrivando persino a pagarle di tasca propria i pernottamenti lungo il percorso.
Il progressivo diffondersi degli ideali fascisti, che relegavano le donne al ruolo di “mogli-madri”, sempre e comunque ubbidienti, ostacolarono però il proseguimento della sua carriera.

Rimasta vedova sul finire degli anni Quaranta, Alfonsina si risposò con Carlo Messori, con il quale avviò in via Varesina 80, a Milano, un negozio di biciclette con annessa officina.
Per una decina d’anni circa, la si vide sporcarsi le mani callose fra ruote, sellini e raggiere finché il 13 settembre del 1959 il suo cuore cedette di colpo.

Poco prima aveva detto al Guerin Sportivo:
“Certo, non sono bella e nemmeno graziosa. Però ho le gambe buone, corro in bicicletta e cresco mia figlia. I pubblici di tutta Italia mi trattano con entusiasmo. Qualcuno mi ha pure schernita, ma io sono contenta e so di aver fatto bene”.
In poche parole, il testamento morale di una pioniera.

 

(Testo di Anselmo Pagani. Riproduzione consentita se indicante il nome dell’autore).

 

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