In questo 2023 cade il cento cinquantenario dalla morte di Alessandro Manzoni (1785-1873). Delle commemorazioni, specie di alte autorità politiche e culturali non voglio parlare. Lascio solo alcune mie considerazioni in merito all’uomo.

Il periodo del coronavirus troverà certamente i suoi scrittori e sceneggiatori. Chi ha narrato di una epidemia di peste è stato proprio Alessandro Manzoni, considerato il migliore scrittore cattolico italiano in prosa… ma questo è vero ?

Che Alessandro Manzoni sia uno scrittore molto amato dal pubblico è falso. Ciò dipende dall’uso strumentale che ne ha fatto la scuola italiana. Imporre la lettura di un qualsiasi libro, capitolo per capitolo, paragrafo per paragrafo, frase per frase, e poi farne oggetto di riassunti, temi, compiti in classe, interrogazioni, è la migliore maniera per far odiare ogni tipo di letteratura. Questo è successo per I promessi sposi.

Purtroppo è successo questo, perché in sé il libro è bello. Presenta una buona rievocazione storica, curata fin nei minimi particolari, una certa scorrevolezza malgrado le lunghe descrizioni, e nel sottofondo c’è un senso ironico che raramente si trova negli scrittori italiani.
Da Alessandro Manzoni discende quasi in linea diretta Giovannino Guareschi. C’è solo da sperare che Don Camillo e Peppone non entrino mai in classe come libri di lettura scelti dagli insegnanti.

Questo per ciò che riguarda l’opera più celebre, ma dell’autore cosa possiamo osservare?

Se diamo retta a una certa leggenda, la conversione di Manzoni dall’agnosticismo al cattolicesimo non fu di cuore o di ragione, ma solo di “spavento” dopo aver temuto di aver perso sua moglie durante un tumulto popolare. C’è da dubitare che sia stato così, ma poi come si comportò il neo-cattolico?

Ricco e nobile, si stabilì in un palazzo tuttora esistente nel centro di Milano, e da lì praticamente non si spostò per il resto della vita. Anche dopo il grande successo letterario delle sue prose, poesie e tragedie, non tenne né conferenze né incontri con il pubblico. Moltissimi saranno i commentatori delle sue opere, ma lui non si degnò mai di una spiegazione extra. Idem per la letteratura del suo tempo: Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, Francesco Guerrazzi o Silvio Pellico non incontrarono un qualsiasi suo interessamento.

Passando alla politica, Alessandro Manzoni preferì guardare dalla finestra l’epopea del Risorgimento, piuttosto che esprimersi. Le due composizioni poetiche patriottiche, Marzo 1821 e 5 Maggio, aspetteranno più di un quarto di secolo prima di essere pubblicate. Si tappò in casa durante la rivoluzione delle Cinque Giornate che liberarono per un poco la sua Milano dalla dominazione austriaca.

Solo da lontano seguì la carriera e i successi come primo ministro del Piemonte di suo genero Massimo D’Azeglio (1798-1866). Si degnerà di scrivere un compendio che contrappone la Rivoluzione francese con l’unità d’Italia, ma questo per il fatto di essere stato nominato volente o nolente nel primo senato italiano.

A questo proposito, Camillo Cavour alla sua entrata nell’auta si alzò in piedi e chiese l’applauso per la maggior gloria letteraria della giovane nazione Italia, ma piuttosto che voler apparire, Alessandro Manzoni batté le mani pure lui, facendo ritornare l’ovazione a Cavour.
C’era poi una sua vicina di casa appassionata patriota, la principessa Cristina Trivulzio Belgioioso. Non volle mai riceverla in casa perché ritenuta una donna “leggera”. Chissà cosa avrebbe pensato la gente.

ALESSANDRO MANZONI SI NASCONDEVA
Cristina Trivulzio di Belgioioso


Malgrado praticasse messe e sacramenti, Manzoni peccò di omissione. Verso il 1840, diventato famoso in tutta Europa per il suo romanzo, avrebbe potuto montare sulla propria carrozza e recarsi a Vienna chiedendo udienza al ministro Metternich. A lui avrebbe potuto far presente la situazione di malcontento del regno Lombardo-Veneto, che attendeva solo la scintilla per scoppiare in rivolta. Forse non sarebbe stato ascoltato, ma valeva la pena tentare, Metternich era abile ma male informato e consigliato.

E la religione? Il Risorgimento venne quasi tutto ispirato e gestito dalla massoneria, ma vi fu un momento durante il 1848 in cui i patrioti videro nel papa Pio IX il loro capo e ispiratore. Sulle barricate delle Cinque Giornate echeggiava il grido e il canto “Viva Pio IX”, ma Manzoni nemmeno allora volle prendere posizione.

Il famoso filosofo ed educatore cattolico Antonio Rosmini (1797-1855) frequentò casa Manzoni, e da lui ebbe aiuti finanziari per le sue iniziative scolastiche, ma il benefattore mai si scomodò di farsi vedere in quelle scuole.

Nell’ottobre 1846 John Henry Newman (1801-1890), pastore e teologo anglicano convertito al cattolicesimo, arrivò a Milano appositamente per conoscere il più grande letterato cattolico, ma l’incontro non avvenne, Manzoni si fece negare. Tornato in Inghilterra Newman sfidando la regina Vittoria, “papessa” della religione anglicana, fonda chiese e oratori, apre l’università cattolica a Dublino in Irlanda, partecipa al concilio Vaticano nel 1870 e nel 1879 viene nominato cardinale. Dal 2010 è beato e dal 2019 santo. Perché una tale incomprensione da parte di Manzoni?

ALESSANDRO MANZONI SI NASCONDEVA
John Henry Newman


Nel 1810, all’indomani della sua conversione, Manzoni iniziò a scrivere dodici inni sacri, ma ne terminerà soltanto cinque. Verrà poi assorbito dal suo romanzone, dove darà un senso compiuto all’intervento della giustizia divina e della provvidenza, specie verso gli umili, ma se analizziamo nel particolare, le figure religiose meglio riuscite sono quelle negative: il prete vile e pauroso Don Abbondio e la Monaca di Monza, incattivita e cinica. Le due figure positive rendono poco: il cardinale Borromeo è un “primo della classe” quasi retorico, e fra Cristoforo agisce poco sulla scena, travolto dalla sua stessa irruenza e poi dalla pestilenza.

Il cattolicesimo c’è nei Promessi Sposi, ma è di carta, il suo autore non avrebbe mai trovato in sé stesso le virtù decantate nel proprio scritto. Un esempio della mancanza di una azione diretta sta in una lettera spedita al suo nipote Giulio Trotti Bentivoglio (1842-1866), allievo ufficiale di marina nel 1856-1861. Nella sua corrispondenza con il nonno, il giovane si lamenta della durezza della vita militare alla quale viene sottoposto. Alessandro, padre di sua madre, risponde: “Coraggio dunque, il mio Giulio! Anche a studiare, anche a assoggettarsi a una serie regolare d’operazioni per sé poco dilettevoli, ci vuole coraggio; e l’andarci di mala voglia è anch’essa, per dir la parola orribile per Giulietto, una specie di paura”.
Tuttavia, il famoso romanziere non aveva mai provato la disciplina, non era stato militare neanche un giorno.

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